Luna: falsa astronave aliena

luna-falsa-astronave-alienaNel nostro precedente articolo su di un video messo in rete, su YouTube, il giorno 1 agosto 2007, col titolo: “Astronave sulla Luna?”, dopo aver presentato la persona che lo aveva messa a disposizione di tutti, ci ponemmo alcune domande poiché quelle immagini presentavano delle vere e proprie incongruenze rispetto alla realtà prospettata, ovvero il recupero di un’enorme astronave aliene sulla Luna, effettuato da una missione congiunta russo-americana.
Fin da subito, affrontammo il problema in chiave assai interrogativa, lasciando chiaramente intendere che erano troppe le “incongruenze” presentate dal filmato suddetto. Tornammo perciò sull’argomento e provammo a spiegare il perché questo video aveva molte probabilità di non essere vero. Lo facemmo non indagando su chi fosse veramente “Retiredafb, William, age 76”, ma analizzando tutti gli aspetti del filmato che non quadravano per arrivare, infine, all’ultimo particolare che smontò definitivamente questa storia: il carattere di stampa della scrittaApollo 20“.

L’articolo ebbe un successo enorme, con tanto di copiature e scopiazzature di ogni genere, fatte senza minimamente citare la fonte, ovvero noi del CUF. Leggemmo pietosamente questi articoli realizzati da copisti di professione e non potemmo fare altro che stendere un velo pietoso sulla loro personalità e su chi stava facendo questo tipo di ufologia a quel tempo.

Essendo stata la scoperta del carattere di stampa la chiave di tutto, noi chiedevamo solo di venire citati per quello, ma tutti coloro che attinsero se ne guardarono bene dal farlo. Ovviamente scoprimmo anche altri particolari del falso video (davvero tanti), sfuggiti quasi tutti ai più, come i nostri lettori avranno modo di leggere nel presente articolo, ma era sull’aulicità e sulla finezza della scoperta del carattere di stampa che chiedevamo il diritto di citazione. Tant’é! Andò così.

Dopo ben sei anni, ovvero in data 26 agosto 2013, fummo costretti ad evidenziare che il suddetto articolo continuava ad essere letto e scaricato da numerosissime persone, ma veniva utilizzato in maniera del tutto impropria, con livelli di scortesia esagerati nei nostri confronti in quanto gli estensori degli articoli continuavano a non mettere in evidenza la provenienza delle notizie e, in alcuni casi, pensarono addirittura di diventarne proprietari. Noi concediamo a tutti di riprendere i nostri ragionamenti e di utilizzare le nostre foto, a patto che si riporti semplicemente la fonte. Se vi capiterà, quindi, di leggere qualcosa al riguardo, controllate la data dell’articolo e la presenza o meno del riferimento al Centro Ufologico Ferrarese.

UNA DATA MOLTO STRANA

La prima domanda che ci ponemmo riguardò il come mai questo signor “retiredafb William, 76 years-old” avesse scelto proprio il primo aprile per postare un video di una portata talmente eccezionale da rischiare quasi un’autentica rivoluzione sociale e religiosa. La data del primo aprile è nota nel mondo come “April Fool’s Day“, mentre in Italia viene chiamato “il giorno degli scherzi” e, vista così, la cosa lascia parecchio da pensare! Chissà che il signor William non se la stia ancora ridendo a crepapelle? Noi pensiamo di aver raccolto così tanti e diversi elementi negativi al riguardo che ritenemmo di considerare il “Moon spaceship footage” una colossale montatura.
Pensammo che qualcuno si fosse divertito un mondo dopo avere, comunque, svolto un lavoro certosino di indagine, di ricerca e di cesello. Ritenevamo, infatti, che “William” avesse un bagagliaio di capacità e di conoscenze tecnologiche incredibili! Quel filmato era davvero ben realizzato agli occhi di un inesperto: velocità costante di ripresa, sfocature e messe fuoco ben calibrate, commenti microfonati di sottofondo e frasi inserite a video nello scorrere delle immagini che, anche se riferite alla missione Apollo 11, lo fecero ritenere del tutto autentico, facendo così passare in secondo piano sia i numerosissimi problemi degli algoritmi di compressione (CODEC), ai quali dedichiamo un intero paragrafo, sia la parte finale del filmato in cui il modulo di comando della navetta si fermerebbe addirittura in volo, al di sopra dell’astronave aliena, durante la fase orbitale attorno alla Luna, eseguendo tale operazione nello spazio di qualche secondo, quasi al rallentatore, senza che nulla di particolarmente evidente dal punto di vista tecnico e strumentale accadesse: non un sussulto improvviso e non un tremolio, ma solo una piccola sfocatura per una messa a fuoco ed un ingrandimento successivi. Tuttavia, come vedremo in seguito, il mare di cose che non quadravano in quella ripresa fu davvero esagerato!

Infine, riflettemmo sul fatto che se si era in possesso di prove autentiche dell’esistenza di altre civiltà presenti nel nostro Sistema Solare e nel nostro Universo non le si sarebbe dovute postare certamente su Internet (YouTube e Disclose.TV), in totale anonimato. A quell’età e con quella verità in tasca (l’allora settantaseienne pensionato William), non si sarebbe dovuto avere più paura di nulla e sarebbe stato assai più logico attendersi un comportamento adeguato, corrispondente alla convocazione di una conferenza stampa di fronte, almeno, ai rappresentanti dei media locali.

MISTERO DELL’AUDIO

Apollo-20-falsa-schermata-audioDopo la schermata mostrante lo stemma o badge della missione, appariva una seconda schermata che mostrava l’inserimento dell’audio riferito alla missione Apollo 11 e riportante la seguente dicitura: Apollo 11 – View of earth and crew – GMT – 190.01.15 to 190.01.30 – Year 1969“. Ovvero, “Missione Apollo 11 – Vista della terra e dell’equipaggio – Tempo regolato tramite il Meridiano di Greenwich (GMT) – Durata del tempo da 190.01.15 a 190.01.30 – Anno 1969“.
Ma che cosa c’entrava tutto ciò con la missione Apollo 20? Se fosse stata una consuetudine della NASA, si sarebbe trattato di un fatto incomprensibile; se fosse stato un inserimento autonomo dell’autore del filmato avrebbe semplicemente significato che eravamo di fronte ad una bufala. La scritta verde su sfondo nero non c’entra nulla con la schermata originale: essa è la riga di comando del programma che abbiamo utilizzato per catturare la varie schermate.

LE UNICHE COSE VERE DI QUELLA VICENDA

Ma tant’è. La storia del falso video andò come andò e noi ce la ritrovammo lì, bella e pronta per essere scaricata e visionata mille volte, proveniente da un utente pressoché anonimo che, se da una parte ci aveva lasciato solo pochi ed incerti dati (pensionato di 76 anni, di nome William, nato in Belgio, residente in Ruanda, già pilota specializzato in test su prototipi di vario tipo), dall’altra ci aveva edotti, per la prima volta in assoluto, su di un’incredibile realtà nascosta fra gli archivi della NASA, ovvero due link a due fotografie custodite presso il sito del “Lunar and Planetary Institute” di Huston, (http://www.lpi.usra.edu) coordinato dall’USRA (Universities Space Research Association), mostranti un oggetto sigariforme enorme depositato in un anfratto lunare, nei pressi del cratere Izsak Y, dove la lettera “ Y ” che segue il nome del cratere stava, in realtà, per ” Y snapped central peak ” ovvero “cima centrale spezzata a forma di Y“. Chiarimmo questo aspetto poiché alcuni ricercatori inserirono una D dopo la Y, prendendo così “Ipse facto” quanto trovato su YouTube che era, evidentemente, un errore o dello stesso “William” o un refuso tipografico. Anche questo particolare significava “indagine” e non scopiazzatura!

LE “X-APOLLO MISSIONS”

Di questa presunta missione congiunta russo-americana, partita il 16 agosto 1976, nessuno ne sapeva nulla poiché le notizie ufficiali erano che l’ultima fosse stata la Missione Apollo 17, partita il 7 dicembre 1972 mentre si sapeva, comunque, del volo congiunto “russo-americano” dell’estate del 1975, noto come “Apollo-Soyuz”, durante il quale il vettore americano Saturno portò in orbita la camera di accoppiamento americana, provvista di agganci per le navicelle, poiché i tentativi russi in tal senso avevano dato risultati contradditori: la Soyuz 15 aveva fallito il tentativo di aggancio nel settembre 1973 e così la missione congiunta venne affidata alla Soyuz 16.
Si sapeva poi che la NASA aveva programmato ancor prima di questa data le missioni Apollo 18, Apollo 19, Apollo 20 e, forse, anche Apollo 21 ma, in seguito a problemi di natura economica, dettati anche dal perdurare della Guerra Fredda, il badget originario venne ridotto, comportando così la cancellazione di tutte quelle missioni partendo, addirittura, dalla 20. Infatti, il 4 gennaio 1970 la NASA annunciò ufficialmente che la Missione Apollo 20 era stata cancellata e il suo razzo Saturn 5 era stato destinato alla stazione spaziale Spacelab. Inizialmente, erano stati prodotti 15 missili Saturn 5, necessari a mettere in orbita i moduli Apollo, ma le missioni in cui vennero utilizzati furono solo 11 (dalla 7 alla 17) e quindi rimanevano disponibili ancora 4 vettori che, logicamente, avrebbero potuto servire alle missioni Apollo suddette.
Il 2 settembre 1970 venne dato l’annuncio della cancellazione della missione Apollo 19 ma continuava a rimanere in piedi l’ipotesi dell’Apollo 18. Infatti, Deke Slayton, il direttore di volo, aveva effettivamente già compiuto la scelta dell’equipaggio di tutti i voli spaziali Apollo di sua competenza ed aveva anche stabilito il principio generale di rotazione che prevedeva l’impiego degli stessi astronauti a una distanza di almeno tre missioni dal loro primo impiego.
Per l’Apollo 18 egli aveva scelto come comandante dell’equipaggio (CDR) Richard F. Gordon Junior, come pilota del modulo di comando (CMP o Command Module Pilot) Vance D. Brand e come pilota del modulo lunare (LMP o Lunar Module Pilot) Harrison Schmitt. Quando la missione Apollo 18 fu cancellata, Schmitt venne spostato all’Apollo 17 e andò a prendere il posto di Joe Engle che era impegnato altrove.
Per l’Apollo 19 non c’è nulla di certo ma sembra che i nomi più accreditati fossero Fred Haise (CDR), William R. Pogue (CMP) e Gerald P. Carr (LMP).
Per l’Apollo 20 c’è tuttora un alone di mistero ma i nomi più ricorrenti erano quelli di Pet Conrad (CDR), Paul J. Weitz (CMP) e Jack R. Lousma (LMP); le ragioni di tale incertezza sono dovute al fatto che i primi due furono trasferiti allo Skylab e così i nomi da ritenersi fra i più attendibili rimasero ora quelli di Stuart Roosa (CDR), Jack R. Lousma (CMP) e Don L. Lind (LMP) che, come si vede, non avevano nulla a che vedere con William Rutledge, Leona Snyder e Alexej Leonov, ovvero il presunto equipaggio della fantomatica missione Apollo 20. Per approfondimenti in tal senso si consiglia il link della NASA: http://www.nssdc.gsfc.nasa.gov (andare poi a navigare nel sito con la seguente progressione: planetary/lunar/apollo) e quello di Wikipedia, all’indirizzo seguente: http://www.wikipedia.org/wiki/Canceled_Apollo_missions.

UNO STRANO STEMMA

falso-badge-apollo-20Il filmato era introdotto dallo stemma riportante il logo della missione: esso appariva dal primo al ventesimo fotogramma e mostrava il logo di una presunta “Missione Apollo 20“, confezionato ad hoc, così come si era soliti fare, del resto, per tutte le precedenti missioni della NASA. Esso, però, a nostro avviso conteneva una quantità impressionante di incongruenze. Dall’alto, apparivano le seguenti scene: la scritta “Apollo 20”, la scena del recupero, i tre crateri, il motto latino “Carpent tua poma nepotes” e, infine, i nome dei tre presunti astronauti. Riguardo al motto latino, di colore rosso e collocato in basso a destra, osservammo che si trattava di una affermazione attribuibile a Virgilio (Egloghe, IX, 50), che stava a significare che “I nipoti raccoglieranno i tuoi frutti”; ovvero, altre persone mieteranno dove qualcuno aveva precedentemente seminato. In senso più lato, il significato più profondo era che l’uomo non deve lavorare per se stesso ma anche per le generazioni future.

PRIMA INCONGRUENZA: IL RECUPERO DELL’ASTRONAVE ALIENA

La cosa più appariscente dello stemma era certamente la scena-simbolo: due navicelle, probabilmente l’una russa e l’altra americana, ovviamente costituite dai moduli lunari, di diversa forma e di diverso colore, erano intente nell’inverosimile recupero, con semplici corde d’acciaio, di una astronave aliena che avrebbe dovuto essere lunga circa quattro chilometri.
Quand’anche fosse stato possibile per due semplici moduli lunari (i moduli sono la terza parte della navicella vera e propria, costituita dal modulo di comando, di circa quattro metri, dal modulo di servizio, di circa sette metri e, appunto, dal modulo lunare, di circa altri quattro metri di lunghezza) sollevare quell’incredibile massa di materiale metallico con tutto il suo carico, sarebbero poi rimasti tutti i problemi legati al viaggio spaziale di ritorno, in totale sincronia fra di loro. Al di là poi del fatto che il carburante necessario al viaggio di andata e ritorno venisse calcolato con un margine di errore, in surplus, di pochissimo superiore al necessario, qui sarebbe stata richiesta una potenza spaventosa, con conseguente consumo di una quantità incommensurabile di carburante per i motori dei due poveri moduli lunari prima e del resto delle navicelle poi con le quali, infine, vi sarebbe dovuto essere stato un aggancio spaziale, sempre in totale sincronia. E se è pur vero che l’immagine era di tipo simbolico, le incongruenze delle tecniche del recupero, delle forze in campo e delle proporzioni apparivano assai vistose, rendendo l’idea di siffatto recupero del tutto irrealizzabile.

SECONDA INCONGRUENZA: IL TIMONE DELL’ASTRONAVE

timone-codaCome si può notare nell’allegato frame, tratto dal falso video originale, i creatori del logo suddetto si presero una “licenza artistica” e rappresentarono l’astronave aliena con un vistoso timone stabilizzatore verticale sulla parte retrostante della fusoliera. Facendo riferimento alle immagini del filmato, è del tutto evidente che l’astronave non ha un timone di coda così grande. Guardando poi l’immagine espansa, apparve ancor più evidente che un timone di quel tipo non avrebbe potuto essere montato sulla parte retrostante, la quale non mostrava né segni di rotture né distacchi di parti così importanti. Facemmo il suddetto ragionamento poiché, ad un certo punto del filmato, si udiva e si vedeva scritto il seguente dialogo (n° 21, frame 2857): «…in the landing site there are many peces of metal, shiny parts look like gold of mylar…»; il che equivarrebbe a dire che durante l’impatto si staccarono delle parti, poi rotolate al suolo ma, nonostante il tempo trascorso, sarebbero rimaste del tutto risplendenti in maniera così forte da far venire alla mente l’idea dell’oro. Per inciso, il “mylar” è quella sottilissima pellicole di materia plastica alluminata, che è stata utilizzata dalla NASA per mettere in campo lo studio, ed il conseguente progetto, del “Jet Propulsion Laboratory” che ha, come fine ultimo, quello di costruire il famoso “Veliero interstellare”, ovvero una sonda interplanetaria propulsa a vela.

TERZA INCONGRUENZA: LE PROPORZIONI

confronto-astronaviOltre a tutto ciò, vi fu un particolare che ci sfuggì di primo acchito ma non avrebbe più potuto sfuggirci dopo aver analizzato così tante volte il filmato: l’oggetto sigariforme presente sulle due foto della NASA non è uguale a quello del filmato. Per dimostrare ciò confrontammo le due foto, ovviamente proporzionandole fra di loro: in quelle della NASA l’oggetto è lungo 5 cm e la distanza fra inizio del muso e inizio della cabina è di circa un terzo rispetto alla lunghezza complessiva dell’astronave aliena (5 : 3 = 1,66 periodico); nel fotogramma del filmato l’oggetto è lungo 10 cm, per cui la distanza suddetta (inizio muso – inizio cabina) dovrebbe essere di circa un terzo e cioè: 10 : 3 = 3,33 periodico ma, come si può agevolmente notare, mancava la bellezza di quasi un centimetro, essendo la distanza di soli 2,3 cm circa. A nostro avviso, questo particolare fu già sufficiente a screditare del tutto il filmato ma, purtroppo, come si leggerà in seguito, c’era anche di peggio.

QUARTA INCONGRUENZA: I TRE CRATERI

tre-crateri-originale-nasaAl di sotto dell’astronave aliena, nello stemma erano stati rappresentati tre crateri lunari, appiccicati l’uno all’altro e del tutto simili in quanto a diametro. Anche questo particolare fu un’incongruenza o una licenza artistica poiché, come si può ben vedere dalle foto allegate, di provenienza NASA, l’astronave si trovava al di sotto del bordo più esterno di un grande cratere il quale, a sua volta, ne aveva uno assai più piccolo alla sua sinistra ed uno enorme ancora più a sinistra. Il disegno del logo era, dunque, assai diverso dalla realtà. È anche vero che nelle vicinanze, ma comunque molto distante, vi erano effettivamente tre crateri uniti e di diametro simile. È ovvio, tuttavia, che, essendo la funzione di uno stemma o badge quella di rappresentare simbolicamente qualcosa, non demmo molto peso a questo particolare che però mettemmo lì, in un angolino, assieme a tutto il resto.

QUINTA INCONGRUENZA: IL CARATTERE DI STAMPA

Ed eccoci, finalmente, all’argomento che da solo contribuì a smontare l’intero filmato: l’incongruenza legata alla scelta del carattere di scrittura, detto anche “FONT” o “Famiglia di font”. Gli ideatori del logo dell’ipotetica missione decisero di scegliere una FONT modernissima per la scritta “APOLLO 20”. In tal modo essi vollero dimostrare sia di rompere una tradizione quasi decennale (21 febbraio 1967 – 16 agosto 1976), che aveva visto l’alternarsi di caratteri di stampa classici, che spaziavano dalle font senza grazie (Sans Serif) a quelle con grazie (Serif), come si poteva vedere dai loghi delle ultime due missioni Apollo ufficiali, dove si notavano le famiglie dei “ROMAN” e degli “ARIAL”, sia di seguire la più moderna evoluzione grafica adottata dalla NASA dal 1975, consistente nell’uso della “Worm font” o “familgia di caratteri a forma di verme”. Essi, quindi, data anche la presunta portata storica dell’evento ipotizzato, optarono per un carattere ultratecnologico, chiamato inizialmente “NASAL” e poi evolutosi in “NASALISATION“. Qualcosa di vero c’è in questa storia!

Prima del 1975, infatti, la NASA ebbe in adozione lo stemma denominato “NASA insignia“, detto anche “Meatball“, dove si vedeva una sfera rappresentante un pianeta, delle stelle rappresentanti lo spazio, una modanatura a V rappresentnte l’aeronautica ed un velivolo orbitante attorno alla V suddetta. In quell’anno, però, la NASA decise di adottare un logo più moderno chiamato ” Worm “, ovvero una rappresentazione stilizzata delle lettere N-A-S-A, colorata di rosso.

prima-nasa-worm-fontNella foto a lato, riferita all’anno 1977, è possibile vedere distintamente il primo Space Shuttle ancorato al dorso di un gigantesco Boeing 747, riportante sul timone verticale posto in coda la scritta “NASA“, in carattere NASALISATION. L’agenzia spaziale americana fece poi un’operazione di tutela del tutto legittima, ponendo il copyright sul “NASA logo worm” e ritirando l’uso ufficiale della scritta fin dal 1992, ma consentendolo esclusivamente per ben “specificate attività promozionali di tipo commerciale, con un’autorizzazione rilasciata esclusivamente dal “Visual Identity Coordinator at NASA Headquarters“.
Dunque, il blocco completo non era una leggenda: esisteva veramente. Non ci era dato di sapere, però, se esistesse anche tutto l’alfabeto completo, comprensivo dei numeri da 0 a 9 e dei caratteri speciali (parentesi, accenti, segni di interpunzione, maiuscole accentate, lineette, ecc.), in quanto nel sito della NASA non ve n’era traccia, ma si parlava solo del logo-disegno.
Sullo stemma della missione “Apollo 20“, invece, comparvero di botto tre lettere e due numeri nuovi: la P, la O, la L, il 2 e lo 0 (zero), che testimoniarono così lo sviluppo di buona parte del set di caratteri (le vocali A e O, le consonanti L, N, P e S) nonostante nel 1976 esistesse ancora il blocco totale sul “NASA logo worm, rafforzato addirittura da un ben preciso protocollo di utilizzo.
Naturale chiedersi allora: «Come avranno mai fatto a sviluppare buona parte del set di caratteri nonostante il blocco preciso e totale sul logo-disegno?». Ricordiamo che tale blocco è tuttora vigente (19 ottobre 2015) e oltre ad essere rimasto addirittura inalterato rispetto ad allora, da nessuna parte si fa cenno né ai nuovi caratteri necessari per completare la scritta “Apollo 20” né allo sviluppo dell’intero set di caratteri.

A quel punto avemmo abbastanza indizi per capire che vi erano davvero molte incongruenze in quel filmato ma, per completare il discorso tecnico dei caratteri di stampa, nell’articolo originario presentammo anche il funzionamento della macchina creatrice delle famiglie di font e, in modo particolare, quella legata al carattere in questione, tenendo però presente che la storia è uguale per qualsiasi famiglia di font (Avvisiamo che questa è la parte più noiosa del presente articolo). Il carattere NASAL, nella prima versione integrale commercializzata negli USA col nome di “Nasal version 2.00“, venne preceduto da una versione di prova che, come tale, fu testata seguendo la regola fissa di un intero anno solare, ed fu successivamente posta in vendita con questa data: “Mercoledì 6 agosto 1997” da Ray Larabie, a cui corrispondeva e corrisponde ancora l’omonima azienda.
Chiarimmo che le versioni di prova delle famiglie di Font facevano, di norma, un “rodaggio in prova”, ovvero si inviavano a persone, a ditte o a singoli creatori di caratteri, al fine di testarne l’impatto sul mercato e comprenderne la penetrabilità commerciale, così da affrontare l’impegno economico dello sviluppo vero e proprio e stabilirne un prezzo di vendita. Normalmente, un carattere di stampa o viene creato dal nulla o viene creato utilizzando la scritta di un prodotto commerciale di successo: il grafologo, partendo da poche e lettere e da qualche numero, sviluppa la parte mancante dell’alfabeto “famoso” e la commercializza direttamente.
Il carattere NASAL suddetto non era però ancora al 100% la font principale utilizzata per il nostro stemma dell’Apollo 20, dove si trovava la font conosciuta col nome di “NASALISATION Version 2.00” che fu commercializzata sempre dalla ditta suddetta, ma nel 1999. Noi non potevamo conoscere i motivi di questa doppia modalità di commercializzazione di un set di caratteri “simile ma non uguale” al “NASA logo worm” prima e di un set di caratteri “del tutto uguale” dopo, ad una distanza di soli due anni. Chiaramente, a noi interessava comunque la questione temporale in un ‘ottica diversa: stavamo parlando di una commercializzazione che avvenne dopo oltre vent’anni dalla missione Apollo 20.

SESTA INCONGRUENZA: I NOMI DEGLI ASTRONAUTI

I nomi degli astronauti citati nel logo erano: Rutledge, Snyder e Leonov: poiché dei primi due già dicemmo nel precedente articolo, lattenzione si concentrò Aleksej A. Leonov. Di lui sapevamo che era nato a Kemerovo, in Ucraina, nel 1965 ed era diventato famosissimo in tutto il mondo in quanto aveva effettuato la prima passeggiata nello spazio. Infatti, durante il volo della navicella Voskhod 2 lanciata il 18 marzo 1965, egli era a bordo con il pilota militare Pavel I. Belyayev ed uscì dalla navicella rimanendo attaccato ad essa attraverso un cavo di nylon. Quella prima attività extraveicolare (EVA) si protrasse per venti minuti. La cosa fu resa possibile sia da una speciale tuta spaziale che lo protesse dagli sbalzi di temperatura e dai micrometeoriti sia da una pesantissima bombola di ossigeno che portava sulle spalle. Nonostante tutti quei fardelli, egli riuscì nell’impresa di effettuare diversi rilevamenti, numerose osservazioni e addirittura qualche ripresa con una videocamera fissata alla tuta.
Purtroppo per “Retiredafb, William“, fu proprio sul suo nome che venne a crearsi questa incongruenza: infatti, il testo su YouTube lo citava nel modo seguente “alexei leonov“, mentre il suo nome vero è ” Aleksej A. Leonov “. Ora, visto che il testo fu inserito da questo “William”, nulla ci vietò di credere che si trattasse addirittura di “William Rutledge” in persona, ovvero l’ipotetico comandante del fantomatico Apollo 20. Se così fosse stato, la cosa sarebbe diventata davvero complicata, per ben tre motivi: primo, perché il compagno di quella lunga avventura era già famosissimo; secondo perché William avrebbe dovuto trascorrere diversi mesi di preparazione insieme a “William” e quindi avrebbe osservato come si scriveva il suo nome; terzo, perché Leonov era russo e per lui, come tutti i russi, la “Y” era una lettera importante: basti pensare al nome del suo compagno della mitica avventura del 1965, ovvero Belyayev, oppure Valerij Fëdorovič Bykovskij comandante della Vostok 5 o, infine, al nome dei nomi: cioè Yurij Gagarin, della Vostok 1. Ora, come abbiamo già visto nel paragrafo “X-Apollo Missions”, questi tre signori non avevano nulla a che fare, almeno teoricamente, con quelli che avrebbero potuto essere gli occupanti di una possibile missione “Apollo 20”.

SETTIMA INCONGRUENZA: TANTI PROBLEMI DI CODEC

Analizzando il filmato nei suoi fotogrammi ci apparve subito un problema enorme, non rilevabile ad occhio nudo durante la normale visione a velocità normale. Si trattò di qualcosa del tutto incomprensibile dal punto di vista tecnico: dall’inizio alla fine era tutto un problema di CODEC, ovvero particolari codici utilizzati nei programmi software per rendere i filmati più leggeri.
In pratica, attraverso precisi algoritmi, si comprimeva un video e si rendevano più veloci sia l’operazione di caricamento su Internet (upload) che quella di scaricamento (download), in modo tale da favorirne la visibilità al maggior numero di utenti. Elencammo, così, tutti i problemi di Codec che avevamo individuato, specificandone il fotogramma catturato e la peculiarità presentata. Specificammo che la scritta in alto a sinistra, verde su sfondo nero, era riferita alla riga di comando del programma che avevamo dovuto utilizzare a quel tempo per catturare le varie schermate.

codec-2Dal 27° al 40° fotogramma erano presenti gravi immagini di disturbo, il 41° presentava un raggio bianco, il 42° presentava strane righe gialle e verdi, il 46° aveva una vistosa macchia fucsia in basso a destra, che diventava color acquamarina nel 47°; il 48° presentava righe orizzontali anomale che perduravano fino al 51°; l’83° aveva i problemi del 27° ed erano dovuti all’inserimento della scritta; essi permanevano in maniera nitida fino all’89° ma perduravano più affievoliti fino al 91°.
Dopo un lungo periodo di tranquillità, i problemi riprendevano col 1770° in quanto la scritta “Vanderberg Twenty, set the specture to one point eight” era malamente inserita e parte dei caratteri era assai più grande dei restanti. Si trattò di un momento decisamente critico poiché procedette fino al 1795°, quando la scena divenne incredibilmente bianca (taglio?).
codec-3Dal 1820° al 1835° i problemi si riacutizzarono e la scena ritornò prima bianca per diventare del tutto viola il fotogramma successivo e rimanere così fino al 1840°. La cosa appare stranissima in quanto il 1841° corrispondeva al primo fotogramma dell’astronave aliena, ovvero cominciavano a prendere forma i colori che nei fotogrammi successivi reseroi possibile la visione di un’astronave sul suolo lunare. Col 1840° capitò però un’altra cosa stranissima: era il primo fotogramma di una ripresa “statica”, in cui il modulo di comando della navetta sembrava che si fermasse al di sopra dell’astronave o, comunque, rallentò tanto che sembrò fermo. I problemi di algoritmo ripresero dal 2552° al 2666° e riguardarono, forse, apparenti zoomate e messe fuori fuoco. Infine, l’ennesimo problema di CODEC sul 3187° che non ebbe alcuna spiegazione poiché dopo soli cinque fotogrammi vuoti arrivò quello tutto nero della fine: era il 3193°.