Nasa ed astronauti: Scott Carpenter fotografò oggetti sconosciuti

Malcolm Scott Carpenter, nato a Boulder (Colorado) l’1 maggio 1925, fu ufficiale della marina statunitense, aviatore, pilota collaudatore e divenne particolarmente noto a noi ufologi poiché fu il primo astronauta ad immortalare oggetti volanti sconosciuti. A causa del divorzio dei genitori, crebbe fra la protezione di famiglie di amici della madre. Dopo aver frequentato la Boulder High School, dove studiò la meccanica di volo, venne prima accettato nel V-12 Navy College Training Program, come cadetto di aviazione presso il Colorado College. Dopo un solo anno, fece sei mesi di tirocinio presso la St. Mary’s Prefligh School di Moranga, California, ed altri quattro mesi presso la Ottumwa, Iowa, dove fece allenamento al volo.

Ritornò nel luogo natìo a novembre del 1945, per studiare ingegneria aeronautica presso la University of Colorado, dove riuscì ad ottennere il Bachelor of Science. Nel 1949 si arruolò come volontario nella marina militare statunitense. Nel 1951 divenne pilota e nel 1954 si specializzò in voli d’esercitazione. Finalmente, nel 1959, venne scelto dalla NASA a far parte del primo gruppo di sette astronauti americani chiamato “Mercury Seven”, con l’incarico di addetto alla comunicazione ed alla navigazione. Fu pilota di riserva di John Glenn in occasione della missione “Mercury Atlas-6”.

LA MISSIONE MERCURY-ATLAS 7

Scott Carpenter fu, probabilmente, una di quelle persone baciate dalla fortuna in quanto, nella precedente missione “Mercury-Atlas 6”, fu pilota di riserva di John Glenn, ma per la missione “Mercury-Atlas 7” la NASA aveva pensato a Deke Slayton poi, a causa dell’inidoneità al volo attestata al pilota a causa di problemi al cuore, fu Carpenter ad esserne incaricato. Il destino fu certamente dalla sua parte.

La capsula spaziale destinata alla missione fu consegnata a Cape Canaveral il 15 novembre 1961. Essendo a quel tempo ancora Slayton l’astronauta incaricato, decise di chiamarla Delta 7, ma allorquando l’incarico passò a Carpenter, la capsula venne denominata Aurora 7. L’8 marzo dell’anno seguente fu consegnato alla NASA anche il razzo vettore, del tipo Atlas. Il piano di volo era assai semplice e del tutto simile a quello precedente di Glenn, ma con alcuni esperimenti in più: tre orbite terrestri, da concludersi con un bel tuffo nel Mar dei Caraibi.

Il 24 maggio 1962 arrivò il suo tempo ma, a causa di calcoli completamente errati, la capsula Aurora 7 finì nelle acque dell’Oceano Atlantico, ad oltre 300 km dalla nave addetta al recupero, costrindendo Carpenter ad attendere più ore prima di essere recuperato.

IL DISTACCO

Ufficialmente a causa della scarsa collaborazione dimostrata e per i modestissimi risultati raggiunti, la NASA non tardò a far sapere alla stampa la propria volontà di rinunciare al collaborazione di Carpenter per le future missioni spaziali. Noi ufologi ovviamente non la pensiamo allo stesso modo ed imputiamo tale decisione a ben altri motivi, che di seguito dedurrete. La NASA non licenziò immediatamente Carpenter e gli assegnò l’incarico, vista anche la sua altissima preparazione tecnica, di collaboratore alla costruzione del modulo lunare per il programma Apollo. E ancora, nell’estate del 1965, la stessa NASA gli consentì di partecipare al progetto della marina militare statunitense denominato “Sealab-2”, consistente nel trascorrere un mese all’interno di un laboratorio subacqueo, ad una profondità di sessanta metri. Visto il successo ottenuto, Carpenter fece ritorno alla NASA con il nuovo incarico di “addestratore subacqueo degli astronauti”.

LA FINE DELLA CARRIERA

Nel 1967 Carpenter lasciò definitivamente la NASA e si dedicò al suo servizio in marina, col prestigioso incarico di direttore del progetto “Sealab-III” ma, dopo soli due anni, nel 1969, si congedò definitivamente dal servizio militare per fondare la “Sear Sciences“, una società imperniata sullo studio delle risorse marine. Di non poco conto fu la collaborazione che ottenne dall’oceanografo Jacques-Yves Cousteau. Infine, Carpenter scrisse due romanzi ed un’autobiografia. Sposatosi per tre volte, fu padre di sette figli.

LA MISSIONE

Come detto, il 24 maggio 1962, alle ore 07:45 ebbe inizio la missione “Mercury-Atlas 7” e, dopo appena cinque minuti era già stata raggiunta l’orbita intorno alla Terra. Tra i primi esperimenti eseguiti da Carpenter vi fu quello di osservare dei razzi di segnalazione lampeggianti che erano stati lanciati dall’Australia ma, a causa dell’elevata nuvolosità, non ebbe buon fine.

Eseguite le tre previste orbite terrestri, Carpenter azionò i retrorazzi frenanti troppo presto: infatti, la capsula non si trovava ancora nella posizione più corretta al rientro e ciò contribuì non poco al raggiungimento dell’ammaraggio previsto, avvenuto a circa 460 chilometri oltre il punto calcolato. Dopo una trentina di minuti circa dall’ammaraggio, i primi piloti che raggiunsero il punto di impatto notarono che Carpenter aveva già lasciato la capsula e li stava aspettando su di una apposita zattera di salvataggio ma, per riuscire nel pieno recupero si dovettereo attende ben sei ore. Tra gli altri motivi ufficiali che giocarono a sfavore di Carpenter vi furono anche quelli di “un ritardo sul piano di volo” e di “un eccessivo consumo di carburante dovuto a manovre sbagliate”.

MISTERI

Mentre si trovava a sorvolare l’Australia, Carpenter vide le stesse particelle luminose che già erano state avvistate da Glenn. Erano tantissime, tutte in formazione e si muovevano a velocità incredibile, per cui le fotografò e le filmò, aggiungendo un commento via radio: “Dunque, esistono! Ditelo a Glenn, che aveva ragione!”. La seconda sorpresa di questa missione avvenne allorquando Carpenter ammarò. Data l’altissima velocità di rientro, a causa dell’anticipata accensione dei retrorazzi e della conseguente manovra errata, la capsula aveva raggiunto una temperatura esterna assai elevata, per cui si temette per la sua vita. Ma egli, una volta soccorso, ebbe a dichiarare di essere stato aiutato da una luce, sotto forma di alone arancione prima e verde poi, che circondò la capsula ed impedì al calore di penetrare al suo interno.

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