Esobiologia: che cos’è?

esobiologiaL’esobiologia, detta anche astrobiologia, è un ramo speculativo della biologia che indaga le varie possibilità di vita nel cosmo, ovvero di vita extraterrestre o aliena! Il prefisso “eso” è afferibile al termine greco “esso”, che significa “esterno”, per cui il significato della parola è: “forme di vita esterne alla Terra” ma, dal punto di vista antropologico, non necessariamente diverse dalla vita terrestre. Essa si occupa anche dello studio della fisiologia umana, nonché dello studio delle possibilità di vita di ogni essere vivente trasportato su di altri pianeti.
Oltre al sinonimo “astrobiologia”, essa potrebbe anche essere chiamata “xenobiologia” in quanto, ipotizzando che la vita extraterrestre possa essere diversa da quella terrestre, si sottolinea il fatto che quella vita potrebbe anche essere basata su di una chimica diversa dalla nostra. All’esobiologia sono associati diversi ragionamenti, tra i più diffusi dei quali vi sono certamente il concetto stesso di “vita extraterrestre” e il “paradosso di Fermi”.

LA VITA EXTRATERRESTRE

Questo è certamente l’argomento principe per un astrobiologo. Per spiegare l’argomento in termini “possibilistici” potremmo iniziare parlando della cosiddetta “Equazione di Drake” (http://it.wikipedia.org/wiki/Equazione_di_Drake), anche se i presupposti di tale ragionamento sono falsati in quanto “non noti“.
Questo radioastronomo statunitense ipotizzò che il Cosmo potesse essere abitato da diverse civiltà extraterrestri e sviluppò un’operazione matematica in grado di predirne il numero, ma i termini delle variabili di quell’equazione, essendo del tutto incerti, non avevano alcunché di attendibilità.
Certo che se la ricerca attuale sulla Luna, su Marte, sugli asteroidi e sui satelliti di Giove trovasse anche solo un essere vivente qualsiasi o i suoi resti fossili, sarebbe facile fare “uno + uno” ed affermare che la vita è ovunque. Purtroppo, ad oggi, per quello che se ne sa, non vi sono ancora stati ritrovamenti di viventi di alcun genere e quindi non è ancora possibile affermare che la vita sulla Terra sia un fatto unico o che essa sia un avvenimento assolutamente normale nel Cosmo. A tal proposito si suggerisce la lettura di questo nostro articolo del 2010. “Marte:antichi segnali di vita“, in cui parlammo del meteorite ALH 84001,0 rinvenuto nel 1984 in Antartide, da Allan Hills.
Nell’estate del 1970, a Mountain View, in California, sotto la direzione di Bernard Oliver, si riunirono un gruppo di esperti scienziati con il proposito di discutere la possibile esistenza di forme di vita intelligenti al di fuori della Terra. La loro conclusione fu che là fuori potrebbero esistere milioni di civiltà tecnologiche, per cui le principali domande riguardarono: la loro possibile ubicazione e il genere di modalità con cui cercarle e contattarle. Ovviamente, tutto era legata all’evidenza: essendo il numero delle stelle enorme, anche ammettendo che solo una piccolissima parte di esse potesse avere un sistema planetario, sarebbe del tutto naturale trovare un qualche pianeta abitato come la Terra.

LA RADIOASTRONOMIA

L’anno successivo nacquero i presupposti per creare il “Project Cyclops“, proiezione del famoso “Progetto OZMA“, nel quale si ipotizzava il coinvolgimento di un gran numero di radiotelescopi con lo scopo di individuare pianeti simili alla Terra, fino ad una distanza di circa mille anni-luce, ma essendo i costi proibitivi venne abbandonato, lasciando però la strada tracciata al SETI.

Il concetto attorno al quale si svilupparono i ragionamenti sulla possibilità di vita al di fuori della Terra furono dunque quelli della radioastronomia, un campo specifico della ricerca astronomica, che studia la fenomenologia celeste attraverso la misura delle onde radio emesse nel corso di ogni processo fisico che avviene nello spazio. Essendo però le onde radio di lunghezza assai superiore della luce, per cui sono caratterizzate da una debolezza di fondo, per poter fare radioastronomia serve una potenza immane: antenne enormi dette, appunto, radiotelescopi. Subito si pose il problema della frequenza eventualmente utilizzata da ET per far sapere a tutte le altre civiltà tecnologiche che egli si trovava su quel determinato pianeta, frequenza che anche noi, quaggiù sulla Terra, avremmo poi dovuto, in teoria, decifrare.
A quel tempo si pensò che essendo l’idrogeno l’elemento più abbondante nell’universo a noi più prossimo, attorno ad esso avrebbe dovuto svilupparsi la ricerca. Così si pensò che il “canto emesso dalla sua frequenza“, caratterizzata da una lunghezza d’onda di 21 cm, dovesse risultare pressoché onnipresente nel Cosmo. Tale frequenza si presenta sotto una forma assai caratteristica in quanto i suoi atomi, di quando in quando, modificano l’allineamento degli spin delle loro particelle costitutive (protone ed elettrone) e creano così, se considerati dal punto di vista cumulativo, un sibilo di fondo nei radiotelescopi.

MESSAGGI PER ET

Di fatto, dunque, come siamo messi al giorno d’oggi su questo atteggiamento di attesa di un segnale da parte di ET? Nulla di intellegibile sembra essere giunto quaggiù, sulla Terra mentre noi, qualcosa abbiamo inviato a lui. Il 16 novembre 1974 vi fu il messaggio lanciato dal radiotelescopio di Arecibo, verso l’ammasso globulare M13 (Ercole), a 25.000 anni-luce di distanza, utilizzando una frequenza di 2.380 MHz. Esso venne ideato fa F. Drake e conteneva diverse informazioni: i numeri da 1 a 10, i numeri atomici, le formule e le basi degli elementi costitutivi del DNA, i suoi nucleotidi e la sua rappresentazione grafica, le rappresentazioni grafiche di un essere umano, del nostro Sistema Solare e del radiotelescopio emittente e, infine, il numero di abitanti del pianeta Terra in quell’anno (4.292.853.753).

Il 29 agosto 2001 ed il 4 settembre 2001, dal radiotelescopio RT-70 di Yevpatoria, in Crimea (Repubblica autonoma di Crimea, ora sotto il controllo russo) scienziati russi inviarono un segnale, noto come “Teen Age Message” poiché realizzato col contributo di ragazzi sotto i vent’anni, verso diverse stelle localizzate nelle costellazioni “Delphinus, Ursa Major, Gemini, Virgo, Hidra e Draco. Questo messaggio arriverà a destinazione fra il 2047 (Ursa Major) e il 2070 (Delphinus).
Esso era composto di tre sezioni: nella prima vi era un segnale “trappola” utile ad attirare attenzione, nella seconda vi erano inserite diverse melodie composte in musica elettronica, nella terza vi era il messaggio di Arecibo, in carattere binario, nonché saluti in russo ed in inglese e diverse immagini.

Lo stesso radiotelescopio aveva lanciato un messaggio nel 1999, detto “Cosmic Call” che venne poi ripetuto nel 2003, anch’essi verso diverse costellazioni: il loro arrivo è compreso fra il 2036 ed il 2069.

Il 4 febbraio 2008, per festeggiare i suoi cinquant’anni ed altre ricorrenze minori, la NASA trasmise un messaggio radio noto come “Across the Universe“, verso la Stella Polare, distante 431 anni-luce da noi.

Il 9 ottobre 2008 sempre il radiotelescopio RT-70 ucraino trasmise un segnale noto come “Messaggio dalla Terra” verso il pianeta esasolare Gliese 581c. Tale messaggio, contenente altri 501 messaggi di ogni tipo, arriverà a destinazione all’inizio del 2029.

Il 7 novembre 2009 il radiotelescopio di Arecibo lanciò un messaggio verso le stelle: Kappa Ceti 1, Teengarden’s Star e GJ 83.1, noto come “Rubisco Stars“. In esso era contenuto il codice genetico della proteina usata dalle piante terrestri per attuare la fotosintesi: la proteina RuBisCo, che è anche la più abbondante sulla Terra.

E noi italiani che cosa stiamo facendo? Si può dire che sia dal 3 gennaio 1954 che abbiamo iniziato a fare trasmissioni televisive a 625 linee per cui possiamo affermare che sono circa sessantuno anni che inviamo messaggi ed immagini nello spazio. In teoria, dunque, è certo che i segnali della nostra presenza quaggiù si trovano già a sessant’anni luce dalla Terra. Non male, eh!

IL PARADOSSO DI FERMI

La tradizione attribuisce questo paradosso al fisico italiano Enrico Fermi. In esso si analizzano le probabilità, elaborate in maniera errata dallo scienziato F. Drake, di entrare in contatto con forme di vita extraterrestre e si valutano in relazione alla domanda “Dove si trovano, dunque, tutti quanti?“.
Ovvero, se esistono così tante civiltà là fuori, come mai non abbiamo ancora ricevuto alcun messaggio da ET e né abbiamo visto sonde e astronavi aliene? Se ET esiste da prima di noi o è nostro coevo non avrebbe, forse, dovuto iniziare a colonizzare lo spazio circostante, inviando prima segnali radio, poi sonde esploratrici, quindi astronavi spaziali? C’è, quindi, un forte contrasto tra l’assunto che non siamo soli nell’Universo e la realtà che dimostra la totale assenza di ogni tipo di segnale da parte di ET.
In tanti hanno dato risposte a questo paradosso, che si possono raggruppare nelle seguenti possibilità: 1) siamo soli; 2) le civiltà hanno una durata assai breve; 3) esistono ma non comunicano; 4) non siamo in grado di ricevere le loro comunicazioni; 5 ) le civiltà sono troppo lontane nel tempo.

La prima possibilità è che siamo soli in questo immenso Universo poiché la possibilità che dalla materia inanimata possa evolvere la vita intelligente è assai bassa, se non unica ed irripetibile. Servono troppe concomitanze astronomiche, chimiche e fisiche: una giusta distanza dal Sole, una buona posizione nella Galassia, una particolare orbita ed una particolare inclinazione dell’asse del pianeta e la presenza di alcuni satelliti naturali. Risulta ovvia la risposta a tale atteggiamento: il Cosmo è talmente vasto da essere definito come “immenso” per cui le modalità di nascita e sviluppo della vita intelligente possono anche evolversi in maniera del tutto differente dalla nostra, che è basata sul carbonio.

La seconda possibilità è che una civiltà tecnologicamente evoluta abbia una vita assai breve e Drake stimò tale durata in circa diecimila anni. Certo è che se una civiltà scompare il fatto dovrebbe essere imputabile all’autodistruzione e la nostra civiltà è ancora ben viva nonostante padroneggi da almeno sessant’anni i mezzi per il proprio annientamento. Ovviamente, si potrebbe scomparire anche a causa di un evento catastrofico, di natura climatica o vulcanica ma anche per un evento esterno come l’impatto con un gigantesco meteorite.

La terza possibilità è che ET esista, ma non voglia comunicare con noi. Questo aspetto è assai interessante poiché è dal 1995 che scopriamo pianeti extrasolari, per cui abbiamo capito che la cosa più normale, là fuori, è che attorno a miliardi di Soli ruotano a miliardi di miliardi i pianetini e ce ne sarà ben uno, almeno, in grado di ospitare la vita!
O stiamo ancora a ragionare sul concetto che la Terra sia al centro dell’Universo? Se così fosse avete sbagliato sito. Rivolgetevi ad uno qualsiasi dei milioni di scettici (astrofili ed astronomi in generale) che pullulano sul pianeta Terra.
Se esiste una civiltà che abbia sviluppato la tecnologia necessaria per comunicare a 360° non è detto che desideri far sapere agli altri dove si trova e se così non fosse c’è sempre la paura del contatto fra civiltà diverse, che potrebbe essere la causa scatenante di un’estinzione di massa.

La quarta possibilità è che noi non siamo ancora in grado di ricevere le comunicazioni di ET poiché, almeno da parte nostra, siamo fermi all’assurdità delle trasmissioni con onde elettromagnetiche e non abbiamo ancora preso in seria considerazioni le possibilità dettate dai neutrini e dalle onde gravitazionali. Non possiamo tuttavia negare il fatto che gli scienziati di una civiltà maggiormente evoluta della nostra possano decodificare agevolmente segnali di tipo obsoleto come quelli elettromagnetici.

La quinta possibilità è che ET esista, ma si trovi troppo lontano, sia nello spazio che nel tempo. A tal proposito basti riflettere sul fatto che per arrivare alla galassia a noi più vicina, la luce impiega oltre due milioni di anni. Ovvero, anche ipotizzando che possa esistere una sola civiltà per galassia, vi sarebbero una distanza spaziale ed una distanza temporale decisamente insuperabili. Va da sé la risposta: nella sola nostra Galassia, la Via Lattea, nessuno sa quanti miliardi di miliardi di miliardi di stelle vi siano: 400, 500, 1.000? Ognuno può darsi la risposta che desidera perché nessuno, su questa Terra, è in grado anche solo di predirne il numero. Quindi, se tanti sono i Soli, è del tutto inverosimile sostenere che l’uomo sia solo. Ecco perché crediamo davvero che non siamo soli fra così tanti miliardi di Soli!