Messaggi dal cosmo

messaggiodvdLo studio dei fenomeni celesti attraverso la misura delle onde radio (frequenze comprese tra 3 Hz e 2 GHz) e delle microonde (frequenze comprese tra 2 GHz e 300 GHz) emesse da processi fisici che avvengono nello spazio prende il nome di “radioastronomia”. Poiché le onde radio sono assai più lunghe della luce ed i segnali astronomici sono di una debolezza impressionante, i radioastronomi devono fare uso di grosse antenne, chiamate “radiotelescopi“, ovvero strumenti in grado di raccogliere e registrare quell’energia radio debolissima proveniente dallo spazio ed individuarne la direzione. Per capire il significato di “debolezza di una radioonda” basti pensare che il peso complessivo di tutte quelle finora giunte sulla Terra e riconosciute come tali, corrisponde all’incirca al peso di “un fiocco di neve caduto al suolo”.

Come è logico comprendere, la loro capacità di lavoro è legata alla dimensione ed al potere risolutivo ed è per questo che devono avere antenne (radio-interferometri) sempre più grandi, collegate e ben sincronizzate fra di loro, in quanto è solo in virtù di ciò che è possibile avere modesti aumenti del potere risolutivo. Detta in soldoni, è penoso pensare che la gaia scienza sia arrivato solo fino a qui nell’analisi della fenomenologia sonora dello spazio profondo ma questa è, purtroppo, la sola ed unica realtà.

Poiché il fine di questo articolo non è la storia dell’astronomia ma la complessità che si racchiude dietro l’analisi di quel mondo di suoni, rumori e sibili che arrivano sulla Terra, non sarebbe importante citare coloro che sono risultati i veri pionieri di tale tipo di ricerca, ma occorre comunque partire da lì per poter meglio comprendere il significato di tutto quel sonoro proveniente da misteriose zone del Cosmo.

Nicola Tesla, ingegnere ed inventore serbo poi naturalizzato americano, ebbe un importante ruolo in questa vicenda poiché nel 1891 realizzò la radio o “telegrafo senza fili” la cui prima applicazione fu … la radiotelegrafia: ovvero, utilizzò le onde elettromagnetiche per trasportare informazioni. In seguito, attraverso le sue apparecchiature, ebbe modo di osservare in un ricevitore di propria costruzione segnali cosmici ripetuti ma la comunità scientifica internazionale non era ancora pronta a prendere in considerazione queste scoperte solo perché la radioastronomia doveva ancora essere inventata …!

Il nostro Guglielmo Marconi aveva intuito l’immensa potenzialità della comunicazione a distanza utilizzando l’onda radio suddette e il 12 dicembre 1901 realizzò il famoso esperimento di trasmissione di un segnale (tre punti, corrispondenti alla lettera “S” del codice Morse) dal CRT di Poldhu, in Cornovaglia al CRR collocato a St. John’s, la principale località dell’sola canadese di Terranova, dall’altra parte dell’oceano Atlantico, ovvero ad una distanza di oltre 3.000 chilometri. La vicenda è un po’ controversa ed i detrattori pensano addirittura che Marconi non abbia udito realmente e distintamente i tre punti ma che, più facilmente, abbia scambiato banali disturbi atmosferici per l’atteso segnale. A noi tutto ciò poco importa poiché a lui va, comunque, il merito di aver intuito la potenzialità del novo strumento.

Il mondo dovette dunque attendere l’ingegnere statunitense Karl Jansky che, nel 1931 fece una scoperta fondamentale: la Via Lattea, cioè la nostra galassia, produceva emissioni radio nella regione delle lunghezze d’onda metriche. Egli, compiendo ricerche sul rumore che disturbava le comunicazioni radio, scoprì le interferenze artificiali, legate alle apparecchiature elettriche, le interferenze naturali, collegate con le situazioni temporalesche, ed il sibilo collegato al rumore-radio. Quel sibilo appariva ogni giorno alla stessa ora e poiché guadagnava quattro minuti al giorno sul Sole egli intuì che la sua sorgente avrebbe necessariamente dovuto essere considerata come “fissa” rispetto allo sfondo delle stelle. Oggi sappiamo che di chi è la “colpa” di tutti questi sibili che arrivano sulla Terra, sotto forma di onde e di microonde: Sole, pulsar, quasar, nebulose, resti di supernova e regioni cosmiche sconosciute.

Nel nostro articolo trova posto, storicamente parlando, anche Enrico Fermi, famoso in tutto il mondo non solo per essere stato lo scienziato premio Nobel per la fisica e per aver costruito, purtroppo, la prima pila atomica, dimostrando così che si sarebbe potuta controllare e riutilizzare la reazione della fissione, ma per aver creato nel 1950 il noto “Paradosso di Fermi“, consistente nella domanda “Se esistono (gli alieni, ovviamente), dove sono?”. In pratica, egli si è chiesto come mai si continuasse a sostenere che nel Cosmo vi fossero migliaia di razze aliene quando nessuno era in grado di fornire una ed una sola semplice prova dell’esistenza di vita intelligente fuori dal nostro pianeta. Se fosse esistita una civiltà nata prima di noi avrebbe certamente utilizzato i propri scienziati per lanciare segnali e messaggi nel Cosmo ed inviare sonde esplorative col fine di colonizzare pianeti abitabili.

Segnali dallo spazio

Il 17 luglio 1957, in USA, uno stratojet militare da ricognizione, modello RB-47, mentre si trovava in volo dal Mississippi al Texas e venne inseguito da un misterioso oggetto non identificato per ben 700 miglia. Durante tutta la lunghissima fase dell’inseguimento fu registrata la trasmissione di un segnale a microonde da 3GHz (http://www.abovetopsecret.com/forum/thread356870/pg1). L’aereo era decollato di primo mattino dalla base militare di Forbes, a Topeka (Kansas), con il compito di fare tre tipi di esercitazioni: militari, aeree ed elettroniche. A bordo l’equipaggio era composto da sei persone: L. D. Chase (pilota), J. H. McCoid (copilota), T. H. Henlay (navigatore), J. J. Provenzano, F. B. McClure e W. A. Tuchscherer esperti di guerra elettronica.

Il 28 novembre 1967, durante un esperimento, la studentessa britannica Jocelyne Bell scoprì emissioni radio regolari che immediatamente battezzò con l’acronimo “L. G. M.”, ovvero “Little Green Men” o “Piccoli uomini verdi”. Solo successivamente il professor Anthony Hewish capì che si era trattato di un’emissione provocata dalla rapida rotazione di una stella a neutroni: era stata scoperta la prima pulsar.

Il 15 agosto 1977 gli strumenti del radiotelescopio Big Ear situato presso l’Ohio State Radio Observatory in USA, registrarono un misterioso segnale proveniente dalla costellazione del Sagittario, ovvero dalla stessa zona cosmica da dove erano arrivati i sibili osservati da Karl Jansky nel 1931. Si trattò di un segnale molto nitido, di potenza tale da ribaltare la stampante collegata al radiotelescopio e della durata di ben settantadue secondi ma che, purtroppo, non ebbe più a ripetersi.

Il 10 ottobre1986 la fondazione privata “Planetary Society”, mentre conduceva il Progetto META (Megachannel Extra-Terrestrial Array) ebbe a registrare il primo di cinque misteriosi segnali, tutti chiari e ben definiti, non attribuibili ad interferenze, giacenti sul piano della nostra Galassia e provenienti, guarda caso ancora una volta, dalla costellazione del Sagittario. Nel corso della sua attività furono ricevuti ben quaranta di questi segnali.

Nel mese di marzo del 2003 il radiotelescopio di Arecibo ricevette un messaggio distante mille anni-luce, denominato SHGb02+14a e proveniente dalla zona cosmica compresa fra la costellazione dei Pesci e quella dell’Ariete. Ebbe la durata di un minuto, fu ripetuto per tre volte sulla frequenza dell’idrogeno (1420 MHz), era affetto dalla componente “Doppler” e proveniva da una sorgente roteante fra gli 8 ed i 37 Hz al secondo. La notizia venne diffusa da Dan Werthimer, scienziato SETI, dopo circa un mese dall’accadimento.
Quella velocità di rotazione fece formulare cinque ipotesi, sulle quali non venne mai trovata alcuna convergenza scientifica: oggetto in movimento o un pianeta o un nuovo tipo di oggetto celeste o un fenomeno naturale sconosciuto o, infine, un segnale spurio, cioè non autentico, causato dalla radiazione di fondo.

Progetti attuali

Il radiotelescopio di Medicina (BO), denominato “Osservatorio Croce del Nord“, è sviluppato attorno ad uno spettrometro in grado di captare contemporaneamente un milione di canali, ovvero frequenze tutte diverse fra loro, provenienti però dal una medesima regione cosmica. Sembrerebbe tutto bello e perfino aulico ma c’è un problemino di non secondaria importanza: come fare ad estrarre informazione intelligibile dall’onda elettromagnetica? In pratica, il problema sarebbe quello di decodificare un eventuale contenuto che avesse un senso per noi umani, ovvero che potesse essere compreso col nostro intelletto.

I trucchetti finora adottati non hanno dato frutti di alcun tipo: il sistema “Serendip” (Search for Extraterrestrial Radio Emissions from Nearby Developed Intelligent Populations), esamina l’onda di base, ma non è in grado né di trovare segnali e tanto meno di capirli; il sistema “KLT” o “procedura di Karhunnen-Loève Transform” è in grado di rilevare segnali-rumori debolissimi, di effettuare una scomposizione più accurata, di estrarre il tipo di segnale modulato e di stabilirne la provenienza ma, ovviamente, non sa attribuire significato di alcun tipo, per cui siamo al punto di partenza: non si sa tradurre il segnale che, pertanto, rimane di tipo “non-intelligibile”. Punto a capo e tutti a casa a studiare, dunque.
Ma che cosa, esattamente, vanno cercando da quelle parti? Loro pensano ad un “tono o fischio puro“. Tale segnale risulterebbe vantaggioso per chi lo emette, poiché verrebbe concentrata tutta la potenza in un’unica direzione, e per chi lo riceve in quanto non esisterebbe una suono simile in natura e diventerebbe di tipo facilmente riconoscibile.
Un po’ più in là, nella sede americana del SETI, hanno orizzonti diversi ed il Senior Astronomer e Direttore del Seti Research, Seth Shostak, ha riferito che sarebbe ora di andare oltre la ricerca del segnale, costruendo telescopi più potenti che offrano la possibilità di scoprire ingegneria aliena oppure abbandonare l’onda elettromagnetica e cominciare a studiare i neutrini, in chiave di vettori di informazione, velocissimi e leggerissimi. Ma si potrebbe anche seguire la via laser per messaggiare ET, questa tecnologia è alla nostra portata fin dal 2003 e può generare impulsi cinquemila volte più luminosi del Sole. Egli ha chiaramente fatto capire che è inutile continuare su di una strada che non ha dato e non darà mai, per ovvi motivi, frutto alcuno; è giunto il momento di cambiare ed affidarsi al “visivo”, ma per tentare di scoprire la cosa più normale che ci sia là fuori, ovvero la vita intelligente, serviranno montagne di soldi e prospettive totalmente diverse.

Progetti futuri

Dunque, il presidente supremo del centro di ricerche del SETI ha dettato la strada: trovare artefatti alieni nel Cosmo vicino, il che equivale ad affermare: “dentro al nostro Sistema Solare“. Mica brustoline, cari astrofili! O cambiate il capo o vi adeguate!

La prima frontiera appare indiscutibilmente quelle suggerita dal fisico statunitense Freeman Dyson con il suo “Progetto SETA” (Search for Extra-Terrestrial Artifacts). Secondo tale teoria, civiltà ben evolute potrebbero intraprendere viaggi interstellari, facendo uso di arche celesti, denominate “Sfere di Dyson“, al cui interno sarebbero ospitate generazioni di individui, tenderebbero a posizionarsi nelle vicinanze di pianeti ricchi di risorse energetiche. In un sistema solare ci sono dei punti, detti “lagrangiani”, dove le forze gravitazionali di due oggetti solari (pianeti) si bilanciano e permettono ad un corpo di piccola massa di mantenere una posizione fissa rispetto agli altri due.

Nel 1980 Robert Freitas pubblicò uno studio riguardante la possibilità che potessero esistere astronavi auto-replicanti ovvero sonde abitate, in orbita stabile, osservabili al telescopio; purtroppo, le osservazioni non condussero a nulla con la tecnologia di quegli anni. Con ogni probabilità, se quelle stesse osservazioni fossero condotte oggi, con la tecnologia di cui si dispone, in modo particolare quella infrarossa, si potrebbe mettere definitivamente la parola “fine” a questo discorso oppure si dovrebbe comunicare al Mondo intero che là fuori c’è davvero qualcosa di assai interessante. Perché nessun astronomo decide di percorrere questa strada? Ad osservare non si rischia mica la galera!
Una gran parte degli scienziati, per non dire tutti, conosce assai bene questa teoria delle “Sfere di Dyson” ma la nega sostenendo che esse avrebbero bisogno di una quantità enorme di energia per gli spostamenti. Ovviamente, ragionano dal punto di vista della conoscenza terrestre senza tener conto del fatto che se le sfere fossero davvero da queste parti sfrutterebbero una tecnologia enormemente superiore, utilizzando fonti energetiche ben diverse dalle nostre. Comunque, ammesso che tali artefatti giganteschi possano davvero trovarsi nei punti lagrangiani, sarebbero comunque di difficile individuazione a causa della loro scarsa visibilità, legata esclusivamente alla riflessione del Sole.

La seconda frontiera è stata suggerita, a livello teorico, dal fisico italiano Massimo Teodorani con l’ipotesi denominata “SETV“, un acronimo che sta per “Search for Extra-Terrestrial Visitation”. Tale teoria non escluderebbe una possibile presenza aliena all’interno del nostro Sistema Solare. Ma come fare a verificare scientificamente la presenza di eventuali sonde esogene? Servirebbero alcuni strumenti, come: analizzatori di spettro radio, sia nelle microonde che nelle onde ultrabasse, sensori nell’infrarosso e nell’ultravioletto e detectors di eventi ad alta energia.
Occorrerebbe poi studiare le anomalie atmosferiche, in quanto potrebbero essere legate alla presenza di congegni esogeni, pur non dimenticando che l’ipotesi più plausibile rimarrebbe quella di fenomeni naturali sconosciuti. Infatti, sulla Terra vi sono alcune decine di zone mostranti tali anomalie, come quelle che sono state notate e studiate nella valle norvegese di Hessdalen.

La terza frontiera è rappresentata dall’ipotesi SETI, un acronimo che sta per “Search for Extra-terrestrial Intelligence” ed è basata sulle idee del fisico Philip Morrison, sulla quale noi siamo ultrasettici. Secondo tale teoria, esseri intelligenti potrebbero inviare nel Cosmo segnali della loro presenza. I ricercatori SETI, nella speranza di ricevere un segnale da un altro pianeta, utilizzano l’analizzatore di spettro multicanale. Essi ricercano un segnale con delle caratteristiche ben precise: deve stare nella banda delle microonde, deve avere una frequenza compresa fra 1 e 30 MHz, deve essere preferibilmente di tipo monocromatico ma non si esclude il modulato, deve avere lo spostamento Doppler, deve essere ripetuto, deve provenire dalle stesse coordinate celesti e, infine, deve poter essere riosservabile da vari luoghi della Terra.
Per le ragioni suddette, si escludono a priori i segnali provenienti da sorgenti in forte movimento e con emissione saltuaria o transiente (non continua) ovvero, il SETI non contempla il principio di “migrazione stellare”, cioè il SETA.

La quarta frontiere è di tipo passivo ed è già iniziata da quasi sessant’anni: essa è rappresentata dal segnale radiotelevisivo dei nostri programmi TV. Per quel che riguarda l’Italia, è dal primo Carosello del 1957, quindi da 58 anni, che stiamo inviando segnali ed immagini in bianco e nero nello spazio circostante mentre è dal 1977 che le immagini vengono spedite anche a colori, grazie alla prima trasmissione di Canale 5.
Ad oggi non si conosce risultato alcuno sull’utilizzo passivo di tali segnali e si pensa che la probabilità di esisti positivi, in chiave ufologica, sia scarsissima in quanto il problema principale di tale tipo di segnale è rappresentato dal degrado lento e progressivo della potenza poiché esso opera all’interno della nostra fisica per cui “l’intensità del segnale, essendo di natura elettromagnetica, subisce la legge del quadrato della distanza”. Si tratta di un fenomeno conosciutissimo, tipico delle radio FM private e, comunque, già dopo soli due anni-luce il segnale televisivo non esiste praticamente più in quanto si è trasformato in “rumore puro”.

Se una qualche intelligenza extraterrestre lo ricevesse prima del degrado totale, cioè prima di due anni-luce dalla sua partenza, che cosa vedrebbe? Vedrebbe come un segnale non sintonizzato, disturbato da una patina tipo nebbia o neve, con ombre in movimento, per cui, apparentemente, non potrebbe sapere nulla di noi. Tuttavia, se la sua tecnologia fosse almeno simile alla nostra intuirebbe una cosa fondamentale: essendo quel segnale di natura modulata avrebbe dovuto necessariamente essere stato spedito da esseri intelligenti! Quindi, anche in questo tipo di frontiera passiva abbiamo, comunque, serie possibilità di far sapere a qualche ET che quaggiù c’è vita intelligente.

La quinta frontiera è rappresentata dai programmi di esplorazione spaziale Pioneer e Voyager. A queste sonde senza equipaggio è stato affidato il compito di esplorare i pianeti del nostro Sistema Solare ma, come vedremo, esse sono andate ben oltre.
La sonda spaziale è una navicella esplorativa priva di equipaggio, ricoperta da foglio metallico riflettente, carica di strumenti di osservazione, parzialmente autonoma, dotata di motore e carburante, di antenna parabolica e pannelli solari. Normalmente vi sono quattro tipologie di sonde: flyby se devono effettuare sorvoli ad alte velocità, orbiter se devono orbitare attorno a corpi celesti, lander se devono atterrare su corpi celesti e penetrator se devono schiantarsi da qualche parte. Ovviamente non possono alzarsi in volo da sole ma hanno bisogno di essere messe in orbita con un razzo vettore e poi possono comunicare grazie ad un’imponente rete di radiotelescopi.
Nello spazio cosmico potrebbero viaggiare, almeno per noi ufologi, migliaia se non milioni di sonde del tutto simili, provenienti da mondi lontanissimi poiché è questa la via suprema per esplorare lo spazio circostante. Se lo facciamo noi perché mai non dovrebbero farlo altre civiltà aliene? Se poi pensiamo che già lo scienziato John Von Neumann aveva prospettato la possibilità di costruire robot in grado di clonarsi è del tutto verosimile che eventuali sonde aliene abbiano la capacità di autoreplicarsi, esplorando così in maniera assai veloce non solo la nostra galassia ma anche il Cosmo esterno. E se noi non le abbiamo ancora incontrate può essere che tali sonde siano passate da queste parti o agli albori della nostra era o anche prima, con buona pace di coloro che ci propinano le solite trite e contrite risposte al Paradosso di Fermi.

PROGRAMMA PIONEER

Le sonde Pioneer da 0 a 4 hanno compiuto flyby lunari, da 5 a 9 si sono spinte nello spazio interplanetario, la 10 aveva il compito di esplorare l’atmosfera di Giove e proseguire oltre mentre la 11 aveva come obiettivo Saturno e poi tutto ciò che avrebbe trovato dopo.
La sonda Pioneer 10 è stata lanciata il 3 marzo 1972 ed ha raggiunto l’inizio dei confini del nostro sistema solare il 13 giugno 1983. Il termine della sua missione era stato programmato per il 31 marzo 1997 ma in data 22 dicembre 2009 ha inviato a terra segnali concreti della sua persistenza in missione. In ragione di ciò, calcolando che essa si sposta nel vuoto ad una velocità di circa 43.758 km/h, coprendo quindi una distanza annua di 381 milioni di chilometri, si può dire che a quella data essa avesse percorso quasi 15 miliardi di chilometri. Per trasmettere i propri messaggi a Terra, al centro AMES della NASA, a bordo vi è un trasmettitore da 8 watt, grande praticamente come una lampadina da frigorifero, tuttora funzionante.

Essa trasporta un messaggio per eventuali scienziati extraterrestri. Tale messaggio si trova inciso su di una lastra di alluminio dorato, detta “placca del Pioneer”, dello spessore di 1,27 cm, larga 22,9 cm e alta 15,2 cm, fissata al supporto dell’antenna. Il messaggio è composto da simboli di vario tipo disegnati dalla pittrice Linda Saizman, moglie dello scienziato Carl Sagan, deceduto il 20 dicembre 1996.
In alto a sx sono stati rappresentati la rotazione del protone e dell’elettrone dell’atomo di idrogeno, con in mezzo il numero binario 1. Nel mezzo, dalla parte dx, vi è il numero binario 8 (1—) che indica l’altezza del Pioneer. sempre in mezzo, ma dalla parte sx vi è il diagramma radiale di 18 stelle pulsar così come vengono osservate dal nostro Sistema Solare. A dx vi sono un uomo ed una donna stilizzati, posti davanti al Pioneer 10 mentre al di sotto di tutto vi sono il nostro Sistema Solare e la rotta seguita dal Pioneer per uscirne.

PROGRAMMA VOYAGER

Si tratta due missioni senza equipaggio che hanno di gran lunga superato ogni più rosea aspettativa e stanno ancora volando nello spazio interplanetario. Se si pensa che erano le vecchie ed obsolete sonde Mariner 11 e Mariner 12 miracolosamente riconvertite c’è davvero di che rimanere a bocca aperta. Il programma iniziale delle vecchie Mariner era quello di compiere un flyby (sorvolo ad alta velocità) di Marte, Venere e Mercurio per: inviare foto a Terra, effettuare rilevamenti nello spazio interplanetario e aggiungere esperienza ai voli di lunga durata. Poiché le Mariner erano sonde identiche, lo sono rimaste anche le Voyager e sono rimaste tali anche nella strumentazione di bordo: registratore di dati, da inviare a Terra ogni sei mesi, computer di bordo, sistema di controllo dell’antenna, tre generatori termoelettrici da 315 watt.

La sonda Voyager 1 è stata messa in orbita il 5 settembre 1977, con l’obiettivo iniziale di studiare Giove e Saturno: in effetti, ha sorvolato Giove il 5 marzo 1979 e Saturno il 12 novembre 1980. La fine della missione era prevista per il 2011 (data di spegnimento del giroscopio che ha il compito di tenere orientata l’antenna verso Terra), ma avendo autonomia fino al 2020 ha proseguito il suo volo, raggiungendo due importanti tappe: a febbraio 2003 ha incontrato l’inizio del Termination Shock, ovvero quel luogo dello spazio dove il vento solare rallenta la sua velocità subsonica, passando da 900 a 400 km al secondo, mentre il 22 dicembre 2009 è avvenuto quello che si credeva avesse dovuto essere l’ultimo contatto reale, quando si trovava a dieci miliardi di chilometri da noi e viaggiava ancora ad una velocità stimata in 64.488 km/h, con una percorrenza annua di 381 milioni di chilometri.
Non stanca, il 13 dicembre 2010 ha raggiunto un nuovo record, quando si è venuta a trovare a circa 17 miliardi di chilometri dal Sole, i suoi strumenti hanno rilevato che il vento solare aveva raggiunto la “velocità zero”, per cui la sonda potrebbe aver raggiunto l’eliopausa. Il 10 dicembre 2011 si è venuta a trovare a 17,819 miliardi di chilometri dal Sole mentre, attualmente, si trova nello spazio interstellare, ovvero fra le stelle, dove continuerà a viaggiare in direzione della costellazione dell’Ofiunco, forse fino al 2025, quando avrà raggiunto i 25 miliardi di chilometri di distanza da casa nostra.

La sonda Voyager 2 è stata messa in orbita il 20 agosto 1977. Essa viaggia ad una velocità leggermente inferiore a quella della sorella (55.764 km/h9 ed ha sorvolato Giove il 9 luglio 1979, Saturno il 25 agosto 1981, Urano il 24 gennaio 1986 e Nettuno il 25 agosto 1989, raggiungendo il Terminatio Shock l’11 dicembre 2007.
Il 26 dicembre 2014 si è venuta a trovare nell’Eliosheath o elioguaina, ovvero quella regione dell’eliosfera che inizia dal Termination Shock, dove il vento solare è assai turbolento. Anch’essa avrà autonomia fino al 2025, come la sorella Voyager 1.

Queste sonde portano appresso un carico preziosissimo per noi terrestri: il Voyager Golden Record (vedi foto in apertuta), praticamente un disco d’oro per giradischi, il cui contenuto è stato selezionato da un comitato presieduto da Carl Sagan. Vi è registrato il messaggio dell’allora presidente USA Jimmy Carter, centoquindici immagini, un gran numero di suoni naturali, venticinque musiche dal mondo, i saluti di terrestri in cinquantacinque lingue e le istruzioni necessarie per ET affinché possa sentire e vedere il tutto.
Questo il messaggio per i nostri fratelli superiori: “Questo è un regalo di un piccolo e distante pianeta, un frammento dei nostri suoni, della nostra scienza, delle nostre immagini, della nostra musica, dei nostri pensieri e sentimenti. Stiamo cercando di sopravvivere ai nostri tempo, ma potremmo farlo nei vostri”.
Il alto a sx vi è un codice binario che indica la corretta velocità (3,6 secondi / rotazione) per far girare il disco, aiutati da una puntina fornita sulla sonda e da uno schema illustrato del disco.
Al centro a sx vi è il prospetto grafico della cartuccia e del disco, nonché la durata temporale del lato 1, ovvero un’ora.
In basso a sx vi è un diagramma che indica la posizione del nostro Sole utilizzando quattordici stelle pulsar di direzioni conosciute: il codice binario sta ad indicare la frequenza degli impulsi.
In alto a dx vi sono illustrate la sezione video della registrazione, l’aspetto della forma delle onde dei segnali video ed il tempo di scansione.
Il centro dx è stato dedicato alla sezione della scansione, con l’immagine di una sezione video mostrante la direzione di scansione, appunto, la durata e la prima immagine che apparirà, ovvero un cerchio.
Infine, sotto a dx, sono stati illustrati i due livelli più bassi dell’idrogeno, con i momenti di rotazione del protone e dell’elettrone ed il tempo di transizione da uno stato all’altro.