USO: abissi on line

uso-oceano-1Sul quotidiano del Corriere della Sera di martedì 30 ottobre 2007, nelle pagine dedicate alla scienza, comparve un interessante articolo di Paola Caruso relativo al monitoraggio televisivo di una vasta zona degli abissi marini statunitensi, grazie ad una rete ottica dotata di un gran numero di web cam, di sensori e di robot con macchine fotografiche ad alta definizione: un autentico sogno da 235 milioni di euro che venne realizzato nel 2010 ed è ancora perfettamente funzionante: http://www.cambridge.org/us/academic/discovering-deep .

Il progetto

Dopo Google Earth e Google Sky ecco arrivare un servizio del tutto simile nella sostanza, che potremmo chiamare “AbyssNet“, consistente nel posizionare 1.200 chilometri di fibra ottica sul fondo marino di fronte allo stato americano dell’Oregon. Questo enorme progetto di cablatura di quasi tutta la dorsale tettonica di Juan de Fuca, presentato a Seattle alla fine di ottobre, ha potuto realizzarsi grazie alle idee dello scienziato John R. Delaney, un oceanografo della Washington University, che è anche a capo del progetto suddetto. Egli ha sempre sostenuto la possibilità di trasformare questa vasta zona sottomarina del nostro pianeta in un autentico laboratorio scientifico per lo studio delle correnti marine, della flora e della fauna degli abissi, delle mutazioni climatiche del pianeta, della formazione degli uragani e degli tsunami e dei terremoti, delle migrazioni dei pesci e, ovviamente, delle numerose e misteriose attività vulcaniche delle placche terrestri.
Egli sta preparando questo incredibile progetto fin dal 1995 allorquando attivò il “Progetto Nettuno“, consistente nel monitorare tutta la “Primavera subacquea” nella zona sottomarina della placca, attorno al vulcano della dorsale suddetta. A quel tempo si trattò di un progetto che anticipò decisamente i tempi in quanto ebbe l’obiettivo di comprendere come facessero le condizioni climatiche degli abissi a permettere lo sviluppo di vita animale in totale assenza di luce.

Gli aspetti tecnici

I cavi in fibra ottica saranno posizionati attorno all’enorme vulcano della dorsale di Juan de Fuca ed avranno uno sviluppo iniziale di ben 1.200 km che, ovviamente, saranno ampliati nel caso i primi risultati si rivelino incoraggianti. Questa vasta rete ottica avrò due livelli di punti nodali: i cinque nodi primari saranno deputati sia ai collegamenti elettrici di base, necessari ad alimentare il sistema, sia a gestire i collegamenti con le web cam ad alta definizione collegate direttamente ad Internet, in modo tale che tutti possano usufruire, in tempo reale, delle meravigliose immagini provenienti dai fondali a 500 metri di profondità; i nodi secondari serviranno, invece, alla gestione completa del sistema, in quanto dovranno ricevere gli input provenienti dai computer degli scienziati deputati al controllo dei dati, dovranno distribuire le informazioni ricevute e scaricare quelle elaborate ed incamerate, e dovranno, infine, occuparsi della trasmissione di tutte le informazioni sul sito della società che gestirà il progetto. Al momento, le basi deputate ad ospitare i laboratori per la gestione del tutto sono: Warrenton, Pacific City e Nedonna Beach. Il complesso sistema gestionale di questo laboratorio sommerso prevede due tipi di unità: una nave oceanografica, per la gestione di superficie della rete ottica sottomarina, in modo che gli utenti internet possano godere della visione degli abissi, e tanti mini sommergibili, denominati “AUVs” e deputati ad intervenire direttamente in caso di guasti alle fibre o alle apparecchiature.

“Progetto abissi” ed USO

Ovviamente, per noi ufologi che crediamo agli UFO sottomarini o USO, un progetto del genere non può che essere sentito come autentica manna dal cielo: poter osservare in tempo reale ciò che accade sotto la superficie degli oceani, ad una profondità di almeno mezzo chilometro, è certamente qualcosa di grandioso che può aiutare ad affrontare con maggior determinazione l’argomento di mezzi alieni che viaggiano sotto le acque.
Gli USO (USOs in inglese, al plurale) rappresentano una spettacolare manifestazione della fenomenologia ufologica che, però, assai di rado viene riportata. Anche se non ce ne rendiamo conto, poiché viviamo sulla terraferma, il nostro pianeta è ricoperto per circa il 75% di acqua; infatti, a fronte di 509.950.715 kmq di superficie complessiva solamente 148.822.000 kmq sono occupati dalle terre emerse. Essendo dunque questa la situazione reale, non è difficile immaginare che le manifestazioni ufologiche nelle acque degli oceani, dei mari, dei laghi e dei grandi fiumi siano assai comuni e, comunque, molto più comuni di quanto non si creda.

I ricercatori

Il biologo marino Ivan T. Sanderson, fondatore della S.I.T.U. ( Society for Investigation of The Unexplainednel ), un’associazione impegnata nell’esame di tutto quanto connesso agli UFO e agli USO, nel 1970 formulò una teoria sugli alieni: egli considerò possibile che sotto le acque, in modo particolare quelle profonde degli oceani, potesse vivere almeno una razza intelligente, che discenderebbe direttamente da quelle prime forme di vita che non passarono mai sulla terraferma e che, perciò, sarebbe assai più antica della nostra civiltà umana.
Anche John Keel ha sempre sostenuto l’idea che potessero veramente esistere delle basi sottomarine sulla Terra, in modo particolare nelle vicinanze del Circolo Polare Artico e in diverse zone del Sud America, ma non attribuisce alcuna paternità agli alieni: egli pensa semplicemente che una grande potenza mondiale, come potrebbe esserlo gli Stati Uniti, stia sviluppando un’aviazione ed una marina clandestine.
Il ricercatore Bill Birnes, nel documentario “Deep Sea UFOs” trasmesso negli Stati Uniti il 16 luglio 2006 sui circuiti del programma televisivo “The History Channel”, dopo aver raccolto diverse testimonianze hanno dichiarato che un comportamento tipico degli USOs è quello di aprirsi in tante parti e lasciare partire un grande numero di velivoli più piccoli.
Nello stesso documentario Philip Mantle ha dichiarato che questi USO emergono semplicemente dall’acqua e se ne spariscono. Ha poi ricordato come lo stesso leader sovietico Nikita Khrushchev fosse rimasto assai impressionato dal rapporto che aveva ordinato di redigere alla sua rappresentativa diplomatica a Buenos Aires, la quale aveva ricevuto il delicatissimo incarico di scoprire il più possibile sull’argomento. Poiché gli scettici gli suggerirono che, in clima di guerra fredda, avrebbe potuto benissimo trattarsi di sottomarini lanciasiluri, egli rispose assai argutamente ricordando come, nel 1966 non fosse possibile gestire un fuoco simultaneo di sei o più siluri.
Il ricercatore Bruce Maccabee, ricordando l’USO di Porto Rico del marzo 1963, che viaggiava a 150 nodi, cioè circa 280 km/h e ad una profondità di 20.000 piedi, ha dichiarato che il punto critico per un sommergibile si aggira attorno ai 7.000 piedi.
Il ricercatore Stanton Friedman ha fatto notare che quando viene localizzato un UFO in cielo la gente ne fa un racconto o un rapporto alle forze dell’ordine ma quando viene localizzato un USO o nelle profondità marine o sulla superficie delle acque, soprattutto grazie al monitoraggio delle imbarcazioni e dei loro occupanti, se ne fa un rapporto di cui non impara niente nessuno oppure, se qualcosa trapela, arriva puntuale il servizio televisivo che mostra la solita mongolfiera sperimentale della Marina Militare che, ovviamente, è la causa possibile dell’avvistamento di un UFO o di un USO.
Un altro importante ricercatore, Carl Feindt, nello steso documentario ha ricordato il “Diario di Cristoforo Colombo” nel quale il nostro navigatore sarebbe stato testimone dell’avvistamento di un oggetto che, sulla linea dell’orizzonte, eseguiva movimenti ondeggianti o tremolanti, paragonati dal Nostro al tremolio di una candele che, però, sorge e tramonta. A tal proposito, qualcuno ha sostenuto che avrebbe potuto trattarsi dei fuochi di un accampamento ma la spiegazione è risultata risibile in quanto la costa era ancora assai lontana. Lo stesso ricercatore ha poi aggiunto che allorquando gli USO devono penetrare una barriera di ghiaccio, per entrare nelle profondità polari, fondono letteralmente la lastra al loro passaggio, lasciando un semplice buco e non si comportano, quindi, come farebbe un meteorite che lancerebbe i frammenti gelati in tutte le direzioni.

La forma degli USO

Questi oggetti volanti sono assimilabili in tutto e per tutto ai ben più noti UFO. La loro superficie esterna appare per lo più costituita di materiale simile al metallo, con tonalità che comprendono tutte le gradazioni del colore grigio. La loro forma è per lo più a sfera o ad ovoide ma sono moltissime le segnalazioni della forma a sigaro o a cilindro. Presentano dimensioni di ogni tipo in quanto si va dalle segnalazioni di piccoli sferoidi, assai simili a sonde esplorative del diametro di circa un metro, a gigantesche astronavi anche superiori ai 500 metri di diametro o di lunghezza.
Questi mezzi volanti non identificati manifestano la loro presenza in diversi modi: immobili sull’acqua, in navigazione o di poco sopra la superficie, come gli aliscafi, o sulla superficie o appena sotto di essa o a notevoli profondità, fermi sui fondali, in immersione o in emersione sia a velocità modeste che sostenute. Inoltre, è stato anche osservato che dopo la fase di emersione, alcuni si sono fermati ad una bassa quota, hanno acceso luci ulteriori, hanno iniziato o a girare gradualmente attorno al proprio asse o ad orbitare su circonferenze concentriche che li hanno condotti a quote superiori e da lì sono poi sfrecciati via seguendo o una direzione parallela al terreno o lievemente inclinata verso l’alto o verticale.