Marte: antichi segnali di vita

alh84001-0-meteorit, nasa-creditIl 30 novembre 2009 la NASA rilasciò un comunicato ufficiale (Release J09-030) attraverso William P. Jeffs, riguardante i nuovi risultati raggiunti dal team di ricercatori (David McKay, Everett Gibson e Kathie Thomas-Keprta) che nel 1996 aveva studiato il meteorite ALH 84001,0 rinvenuto ad Allan Hills, in Antartide, il 27 dicembre 1984.
Grazie all’uso di strumenti di analisi più avanzati, nel 2010 il gruppo di ricerca del Johnson Space Center (JSC) di Huston riesaminò i risultati raggiunti nel 1996 sul meteorite: essi consentirono di sostenere l’ipotesi che su Marte, nell’antichità, abbia potuto esistere la vita. La nuova ricerca si concentrò su proposte alternative di indagine che condussero i ricercatori a ritenere credibile l’ipotesi degli antichi segnali di vita nel meteorite ALH.
Il team suddetto riesaminò anche l’ipotesi alternativanon biologica“, relativa alla formazione dei cristalli di magnetite legata al riscaldamento o allo shock da decomposizione e sostennero che i nuovi risultati non avrebbero potuto supportare l’ipotesi del riscaldamento; perciò, conclusero che la spiegazione biogenica fosse un’ipotesi più valida per l’origine dei suddetti cristalli di magnetite: “Noi crediamo che l’ipotesi biogenica sia più forte ora rispetto a quando la proponemmo 13 anni fa”, ha dichiarato Everett Gibson, scienziato senior della NASA. Il JSG team suddetto pubblicò uno studio che identificava le forme o le morfologie nei meteoriti marziani e che rassomiglierebbero a microfossili conosciuti e a forme microbiche presenti sulla Terra. Queste nuove forme vennero analizzate con un microscopio a scansione elettronica, cosicché il complesso delle evidenze che ne scaturì incluse: segni di acqua in superficie, come fiumi, laghi e oceani, segni di acqua derivata da depositi di minerali delle argille e carbonati in vecchi terreni rocciosi.

Ooltre a tutto ciò, tra le nostre considerazioni vanno evidenziate le più recenti emissioni di metano nell’atmosfera marziana, che potrebbero avere diverse spiegazioni, inclusa la presenza di vita microbica, che quaggiù, sulla nostra amata Terra, è la principale fonte di metano.

Ma che cos’era accaduto, esattamente, nel lontano 1996? Ad agosto di quell’anno gli scienziati del team suddetto annunciarono che il loro gruppo di ricerca aveva scoperto le prove di vita su Marte, grazie alle analisi condotte sul meteorite marziano ALH84001,0 rinvenuto nel 1984, nella zona di Allan Hills, in Antartide, da Roberta Score, la quale faceva parte di una squadra di ricercatori di meteoriti statunitensi del progetto ANSMET; al momento della scoperta, ALH pesava 1931 g. Per sostenere la loro tesi essi dovettero provare che il meteorite proveniva da Marte e conteneva tracce di vita. Le analisi chimiche furono condotte dal geologo David Mittlefehldt, della Loocked: egli, utilizzando la tecnica di datazione degli isotopi radioattivi, stabilì che ALH aveva 4,5 miliardi di anni. Subito dopo lo confrontò con altri undici meteoriti marziani, di provenienza certa e concluse che esso era del tutto simile a loro. Passò quindi ad analizzare i fenomeni di fusione presenti ed i livelli di esposizione alla radiazione cosmica, concludendo che ALH venne scagliato nello spazio marziano in seguito ad un impatto con un asteroide avvenuto 16 milioni di anni prima. ALH vagò per 13 miliardi di anni attorno a Marte quindi si sganciò ed entrò nell’orbita terrestre, cadendo sui ghiacci occidentali dell’Antartide.
Le analisi definitive vennero condotte presso i laboratori della Università di Loockhed, da Chris Romanek e Kathie Thomas, e dall’Università di Stanford, da Richard Zare. Questi cienziati della NASA ritennero che il peso cumulativo delle quattro prove dimostrasse la tesi.

La prima prova fu quella delle masse carbonatiche, che si erano formate a temperature compatibili con l’esistenza dell’acqua. La seconda fu quella dei batteri, ovvero di strutture minuscole, simili ai batteri, che si trovavano all’interno delle suddette masse carbonatiche ma erano dieci volte più piccole delle specie di batteri note sulle Terra. La terza fu la prova PAH, o dei Policyclical Aromatic Hidrocarbon (Idrocarburi Aromatici Policiclici), rinvenuti all’interno di ALH e quasi certamente prodotti dal decadimento e dalla decomposizione di organismi viventi. La quarta prova fu quella dei cristalli di composti di ferro, spontaneamente magnetici, che si formano sui batteri terrestri e presenti in ALH.
Purtroppo, non tutta la comunità scientifica di allora si convinse, ritenendo le quattro prove troppo ambigue rispetto alla portata reale della notizia. Essi alimentarono alcuni sospetti, primo fra tutti che batteri simili a quelli rinvenuti su ALH avrebbero potuto svilupparsi anche in Antartide, poi che batteri dello stesso tipo erano stati trovati anche su meteoriti lunari, scoperti sempre in Antartide e, infine, che i globuli carbonatici contengono batteri che si possono formare anche a +300°C e non solo, quindi, a 700°C.

In conclusione, questo nuovo studio sostenne che un’antica forma di vita avrebbe potuto rimanere la più plausibile spiegazione per le sostanze e le strutture individuate nel meteorite. In pratica, il microscopio ad alta risoluzione che analizzò i dischi di carbonato ed i cristalli di magnetite presenti in ALH, permise di supporre che i batteri fossili, prodotti da loro stessi, fossero racchiusi nei cristalli di magnetite.

Nel 2009 il puzzle si arricchi di tanta sostanza, grazie alle dichiarazioni del geologo Vincenzo Rizzo, del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Firenze e del Consiglio Nazionale delle Ricerche: su Marte esistono i microrganismi ed egli, da geologo, si stupirebbe se non li avessero visti. Assieme al collega Nicola Cantasano, dell’Istituto per i Sistemi Agricoli e Forestali del Mediterraneo, del CNR, Vicenzo Rizzo descrisse poi sull’International Journal of Astrobiology le ricerche che essi condussero sulle immagini raccolte dalla sonda Opportunity della NASA, sulle sferette denominate “mirtilli” le quali, con molta probabilità, sarebbero delle strutture organo-sedimentarie che potrebbero essere state prodotte da microrganismi.

Coloro che desiderassero approfondire l’argomento, c’è il seguente link: http://www2.jpl.nasa.gov/snc/alh.html.