Luna: c’è tanta acqua

luna-zona-impatto-lcross-2009Queste le storiche parole con cui iniziò il comunicato ufficiale della NASA del 13 novembre 2009: “I primi dati emersi dall’indagine lunare effettuata dalla sonda LCROSS (Lunar Crater Observation and Sensing Satellite) della NASA non lasciano spazio a dubbi ed indicano che la missione ha portato alla scoperta di acqua all’interno di un cratere situato sul lato lunare permanentemente oscuro (ma nella zona polare, per cui l’area risulta risulta visibile da Terra). Quella scoperta aprì un nuovo capitolo sulla nostra conoscenza della Luna“.

Di quell’insolitamente lungo documento vi offriamo una nostra libera traduzione, in forma praticamente quasi integrale.
Il 9 ottobre (alle ore 13,31 in Italia) la sonda LCROSS e lo stadio finale del razzo-compagno Centaur (un contenitore cilindrico lungo tre metri e pesante di 2.366 k, che si è schiantato alla velocità di circa 9.000 km/h, provocando un cratere profondo circa tre metri e alzando una colonna di fumo, polvere e detriti alta circa due chilometri), hanno fatto impatti gemelli nel cratere Cabeus (diametro di circa 96 km e profondità media di circa 4 km), che hanno creato un pennacchio di materiale proveniente dal fondo di un cratere che non aveva visto la luce del Sole in miliardi di anni.
Dopo quattro minuti anche la sonda LCROSS, pesante 891 kg, che era rimasta agganciata a Centaur fin dal momento del lancio avvenuto a giugno, in Florida, venne fatta disintegrare contro il suolo lunare, in un punto non distante dal dal cratere Cabeus. Ovviamente, prima dell’impatto, essa ebbe almeno tre minuti di tempo per trasmettere sulla Terra tutti i dati raccolti ed elaborati in tempo reale; così, per novanta secondi, alla velocità di un mega-byte al secondo, trasmise agli scienziati del Nasa ogni informazione che era riuscita a raccogliere mentre attraversava il pennacchio di detriti e, anch’essa, si avviava desolatamente al sacrificio estremo per il bene dell’umanità.
Il pennacchio si è propagato verso l’alto, andando oltre il bordo di Cabeus, verso la luce solare, mentre un’ulteriore cortina di detriti è stata eiettata più lateralmente. «Stiamo svelando i misteri dei nostri confinanti più vicini e del Sistema Solare. La Luna ospita molti segreti e LCROSS ha aggiunto un nuovo livello alla nostra conoscenza», ha dichiarato Michael Wargo, a capo degli scienziati lunari presso il quartier generale della NASA a Washington.
Gli scienziati hanno a lungo speculato riguardo l’origine di significative quantità di idrogeno che sono state osservate presso i poli lunari. Le scoperte dell’acqua da parte della sonda LCROSS indusse a credere che l‘acqua potrebbe essere assai più diffusa e in quantità maggiore di quanto precedentemente sospettato. Se l’acqua che si è formata o depositata è vecchia di miliardi di anni, queste fredde trappole potrebbero conservare una chiave per la storia e l’evoluzione del Sistema Solare, più degli antichi dati contenuti in un semplice nucleo ghiacciato prelevato sulla Terra. Inoltre, l’acqua e gli altri componenti rappresentano potenziali risorse che potrebbero sostenere la futura esplorazione lunare.
Dopo gli impatti, il team degli scienziati del progetto LCROSS ha analizzato l’enorme quantità dei dati che il velivolo spaziale aveva raccolto (La strumentazione di bordo era composta da fotocamere altamente tecnologiche, in grado di riprendere a diverse lunghezze d’onda e, soprattutto, da spettrometri, cioè strumenti in grado di analizzare sia la composizione chimica della materia che la luminosità del bagliore che si pensava avesse potuto provoca l’impatto al suolo del Centaur, flash che non è però avvenuto). Il team si era concentrato sui dati degli spettrometri puntati sul satellite, i quali fornivano informazioni definitive sulla presenza di acqua. Uno spettrometro aiuta ad identificare la composizione di materiali attraverso l’esame della luce che essi emettono o assorbono.
Siamo estasiati“, ha detto Antonhy Colaprete, scienziato del Progetto LCROSS e investigatore principale presso il NASA Ames Research Center (ARC), ovvero il centro di ricerca della NASA che è stato intitolato a Joseph Sweetman Ames, uno dei soci fondatori del laboratorio NACA (National Advisory Committee for Aeronautics). Molteplici linee di evidenza mostrano che l’acqua era presente in entrambi gli angoli alti del pennacchio di vapore e la cortina di detriti creata dall’impatto del Centaur. La concentrazione e la distribuzione di acqua e di altre sostanze richiede ulteriori analisi ma è sicuro affermare che il cratere Cabeus contiene acqua.
Il team ha lavorato nello spettro vicino all’infrarosso con lo scopo di conoscere la presenza di acqua e di altri materiali, comparandoli con quelli dello spettro derivante dall’impatto del satellite LCROSS. “Noi siamo capaci di confrontare lo spettro con i dati di LCROSS solo dopo aver inserito lo spettro dell’acqua” ha detto Colaprete. Nessuna altra ragionevole combinazione di altri composti risulta presente dato che abbiamo provato a confrontare le combinazioni. È esclusa la possibilità di contaminazione proveniente dal Centaur.
Un’ulteriore conferma proviene da un’emissione nello spettro dell’ultravioletto che era attribuito all’idrogeno, un prodotto ottenuto dallo scioglimento dell’acqua ad opera della luce solare. Quando gli atomi e le molecole sono eccitati, rilasciano energia su di una specifica lunghezza d’onda che può essere rivelata attraverso gli spettrometri. Un processo simile viene usato nelle insegne al neon. Quando sono elettrificati, uno specifico gas produrrà un ben definito colore. I dati provenienti dagli altri strumenti a bordo di LCROSS sono stati analizzati riguardo ad ulteriori indizi riguardanti lo stato e la distribuzione del materiale presso il sito di impatto. Gli scienziati ed i colleghi del Progetto LCROSS stanno studiando attentamente i dati per comprendere l’intero evento dell’impatto. L’obiettivo è di capire la distribuzione di tutti i materiali all’interno del suolo sul luogo dell’impatto. La completa comprensione dei dati, che sono assai abbondanti, può richiedere qualche tempo. Insieme all’acqua all’interno di Cabeus, ci sono tracce di altre interessanti sostanze. Le regioni lunari permanentemente all’ombra sono delle trappole veramente fredde che hanno raccolto e preservato materiale per miliardi di anni”.
Qui si concluse la dichiarazione della NASA ed ora sappiamo che la quantità totale di acqua proveniente dall’impatto è stata di circa 90 litri. La grande caccia all’acqua lunare era iniziata con i dati raccolti dalla sonda indiana Chandrayaan-1 e dalla sonda americana LRO (Lunar Reconnaissance Orbiter): quest’ultima ebbe l’unico compito di monitorare la superficie lunare, non solo per determinare al meglio i punti di impatto, ma per creare una raccolta di dati utili alla realizzazione di una futura base lunare e alla comprensione dei migliori punti di allunaggio per le future missioni umane.
All’inizio si era scelto come luogo d’impatto il cratere Cabeus-A ma poi si optò per Cabeus poiché sembrava offrire una maggior quantità di acqua ghiacciata. All’interno di questi crateri polari, situati però dalla parte chiamata “oscura” della Luna, ma in una posizione ancora visibile dalla Terra, l’acqua è verosimilmente rimasta intrappolata per milioni o miliardi di anni poiché i raggi solari non riescono a superare lo sbarramento verticale delle arginature naturali laterali. Questi fatti fanno sì che la temperatura interna e superficiale dei crateri sia costantemente al di sotto di -173° C.
A questo punto, la domanda che corre di bocca in bocca è, ovviamente: “Da dove sarà mai venuta tutta quell’acqua?“. In passato, sono state sviluppate due teorie a tal riguardo, entrambe valide. La prima riguardava la possibilità che l’acqua fosse opera delle comete mentre la seconda si rivolgeva agli ioni di idrogeno trasportati dal vento solare i quali si sarebbero poi combinati con l’ossigeno presente sulla Luna. Ma ora sta facendo capolino una terza teoria, portata avanti dal Alin Crotts della Columbia University, secondo cui l’acqua proverrebbe dalla parte più profonda della crosta lunare, che ne sarebbe ricchissima, e arriverebbe nella zona superficiale attraverso le fessurazioni presenti nelle rocce.
A questo punto è meglio che confessi la mia ignoranza al riguardo: sono insegnante di ruolo per oltre trent’anni e non avevo mai letto questa notizia da nessuna parte, anche perché la quasi totalità della divulgazione scientifica rivolta agli studenti, sia delle scuole dell’obbligo che superiori, nonché quell’altra propinata dall’editoria generalizzata, hanno sempre sostenuto che la Luna fosse costituita solo da rocce ricche di calcio ed il mantello lunare risultava povero di metalli come il ferro, ma nulla vietava di pensare che il suo nucleo potesse essere ferroso. Esso varia di spessore in base al luogo prescelto: così dai cinque metri circa per i mari più giovani ai dieci metri circa per le sommità degli altipiani di prima formazione. La superficie è certamente stata polverizzata dagli impatti meteorici per cui risulta composta da una coltre di alcuni metri di pietrisco poroso, di varie dimensioni, ma che aumenta con la profondità. Poiché lassù manca il vento e la pioggia, tutto il materiale presente in superficie non può avere spostamenti importanti.
Dai testi ufficiali, si sa che temperatura superficiale spazia, in media, dai -150°C a +120°C e la sua atmosfera, assai scarsa e rarefatta, somma complessivamente a circa diecimila kg che, in termini terrestri, corrispondo alla quantità di gas rilasciati da una qualsiasi navicella Apollo al momento dell’atterraggio. Si sa poi che, in conseguenza di ciò, la gravità lunare è pari ad un sesto di quella terrestre per cui l’atmosfera lunare tende, da una parte, a disperdersi a causa della bassa forza gravitazionale e, dall’altra parte, a ricostituirsi grazie al rifornimento continuo causato dal vento solare. Nella sua composizione atmosferica risultano in numero maggiore i seguenti gas trasportati dal vento solare: neon (circa il 30%), elio (circa il 25%), idrogeno (circa il 22%), e l’argon (circa il 20%), originato dal decadimento radioattivo del potassio nelle rocce lunari.
Nessuno sa come si sia formato il nostro luminoso satellite, ma la teoria maggiormente condivisa, sembra essere quella che la Luna avrebbe avuto origine da un grande impatto, avvenuto di striscio, fra il nostro pianeta ed un asteroide almeno grande quanto Marte. Il materiale originatosi dallo scontro avrebbe provocato una nube di gas, polveri e rocce che, dopo aver rapidamente ceduto il suo calore avrebbe iniziato l’opera di raffreddamento totale del denso anello che, nel frattempo, si sarebbe posizionato in orbita attorno alla Terra. Dalle successive e continue attività di collisione ed attrazione, avvenute nei milioni di anni, avrebbe avuto origine questo stupendo satellite che illumina le notti serene ma, al tempo stesso, e solo con la sua presenza, incute ancora sensazioni diverse ed opposte da circa 384.400 km di distanza da noi.
Ovviamente, nei testi popolari non si parla né di T.L.P. (Transient Luminescent Phenomena), ovvero di quei misteriosissimi fenomeni luminescenti transitori che appaiono, anche per settimane, sulla superficie lunare. E non si parla nemmeno di presunte e misteriose formazioni e strutture che sarebbero presenti sulla superficie. Che cosa nasconde mai, dunque, il nostro stupendo satellite? Come mai dall’ultimo allunaggio della Missione Apollo 17 (La capsula Apollo 17, con a bordo Eugene Cernan, Harrison Shmitt e Ronald E. Evans, partita il 6 dicembre 1972, alle ore 05.33, è rimastra sulla Luna per 22 ore, esplorando la Valle di Taurus-Littrow con il famoso Rover elettrico.) non è più accaduto nulla? Che cos’hanno visto gli astronauti durante le loro missioni spaziali? Noi ufologi lo sappiamo bene e tentiamo di divulgare la verità. Una verità che, ora, fortunatamente, sta allargandosi anche all’acqua, ovvero alla sostanza più preziosa e, forse, più comune fra tutte quelle sparse nel nostro infinito Universo dove, pressoché con la certezza assoluta, confortata dalla scoperta continua di sistemi solari del tutto simili al nostro, la vita è presente ovunque, forse non in forma antropomorfa e non ovunque in forma intelligente ma, di certo, in forma più evoluta sui sistemi solari che si sono originati qualche frazione di secondo prima del nostro, al momento del Big Bang.