Antiche cronache: da Seneca a Tito Livio

antiche-cronache-flammam-ingentisIn “Naturales Questiones“, Libro 1, Fuochi celesti, capitolo “Fuochi che l’aria spinge trasversalmenete“, paragrafo 3, Seneca (4 a.C. – 65 d.C.) dice: “Vidimus nos quoque non semel flammam ingentis pilae specie, quae tamen in ipso cursu suo dissipata est. Vidimus circa divi Augusti excessum simile prodigium, vidimus eo tempore, quo de Seiano actum est; nec Germanici mors sine denuntiatione tali fuit.“. Traduzione: ” Anche noi abbiamo visto più di una volta una fiamma a forma di enorme palla, che tuttavia si è dissolta durante la sua stessa corsa. Abbiamo visto un simile prodigio alla morte del divo Augusto, l’abbiamo visto al tempo in cui fu condannato Seiano; e neppure la morte di Germanico fu priva di tale preannuncio.”.

Al paragrafo 5, dice: “Interim illud existimo, eiusmodi ignes existere aere vehementius trito, cum inclinatio eius in alteram partem facta est et non cessit sed inter se pugnavit: ex hac vexatione nascuntur trabes et globi et faces et ardores. At cum levius collisus et, ut ita dicam, frictus est, minora lumina excutiuntur, crinemque volantia sidera ducunt.“. Traduzione: “Per il momento, penso che i fuochi di questo tipo si generino quando l’aria è compressa con violenza, ovvero quando è stata prodotta l’inclinazione di una massa daria da un lato e non ha ceduto a questo movimento, ma ha lottato contro se stessa: da questo conflitto hanno origine le travi, i globi, le fiaccole e le meteore ardenti. Ma quando la collisione è stata meno violenta e si è verificato, per così dire, solo uno sfregamento, si originano luci più deboli, e le stelle, volando, traggono dietro a sé una chioma. “.

Al paragrafo 13, dice: “In magna tempestate apparere quasi stellae solent velo insidentes; adiuvari se tunc periclitantes aestimant Pollucis et Castoris numine, causa autem melioris spei est, quod iam apparet frangi tempestatem et desinere ventos: alioquin ferrentur ignes, non sederent.”. Traduzione: “In una grande tempesta di solito si vedono delle specie di stelle che si posano sulle vele; coloro che si trovano in pericolo ritengono allora di essere aiutati dalla protezione di Castore e Polluce, ed è motivo di migliore speranza il fatto che ormai la tempesta sembra attenuarsi e i venti cessare: altrimenti i fuochi si muoverebbero, non starebbero fermi.”.

Al paragrafo 15-17, punto 5, si legge: “Inter haec licet ponas et quod frequenter in historiis legimus caelum ardere visum, cuius nonnumquam tam sublimis ardor est, ut inter sidera ipsa videatur, nonnumquam tam humilis, ut speciem longinqui incendii praebeat. Sub Tiberio Caesare cohortes in auxilium Ostiensis coloniae cucurrerunt tamquam conflagrantis, cum caeli ardor fuisset per magnam partem noctis parum lucidus, crassi fumidique ignis.“. Traduzione: “Tra questi fenomeni puoi mettere anche ciò che spesso leggiamo nelle storie, cioè che il cielo è apparso infuocato e il suo fiammeggiare è talvolta così alto da sembrare proprio in mezzo alle stelle, talvolta così basso da avere l’aspetto di un incendio lontano. Sotto il regno di Tiberio Cesare le coorti accorsero in aiuto della colonia di Ostia come se fosse in fiamme, mentre si trattava di una vampa celeste brillante durata gran parte della notte, di un fuoco grasso e fumoso.”.

In “Ab urbe condita“, Libro XXI , paragrafo 62, Tito Livio (59 a.C. – 17 d.C.) dice: “Romae aut circa urbem multa ea hieme prodigia facta aut, quod evenire solet motis semel in religionem animis, multa nuntiata et temere credita sunt, in quis ingenuum infantem semenstrem in foro holitorio triumphum clamasse, et [in] foro boario bovem in tertiam contignationem sua sponte escendisse atque inde tumultu habitatorum territum sese deiecisse, et navium speciem de caelo adfulsisse, et aedem Spei, quae est in foro holitorio, fulmine ictam, et Lanuvi hastam se commovisse et coruum in aedem Iunonis devolasse atque in ipso pulvinari consedisse, et in agro Amiternino multis locis hominum specie procul candida veste visos nec cum ullo congressos, et in Piceno lapidibus pluvisse, et Caere sortes extenuatas, et in Gallia lupum vigili gladium ex vagina raptum abstulisse. Ob cetera prodigia libros adire decemviri iussi; quod autem lapidibus pluvisset in Piceno, novendiale sacrum edictum; et subinde aliis procurandis prope tota civitas operata fuit.“. Traduzione: “A Roma e nei pressi della città durante quell’inverno avvennero davvero dei prodigi, cosa che si verifica di solito quando gli animi turbati cedono talvolta alla superstizione, oppure molti furono riferiti e sconsideratamente dati per veri, e tra questi che un bambino di sei mesi figlio di un uomo libero aveva gridato nella piazza del mercato ortofrutticolo “Trionfo!” e nella piazza del mercato bovino un bue era salito volontariamente al terzo piano e di là spaventato dal chiasso fatto da chi ci abitava si era buttato di sotto e dal cielo era apparsa luminosa una sorta di armata navale ed il tempio della Speranza, che si trova nella piazza del mercato, era stato colpito da un fulmine e si era mossa l’asta di Lanuvio ed un corvo era volato giù dal tempio di Giunone e si era fermato proprio nel pulvinare e nella zona di Amiterno in molti punti si erano visti di lontano, perché vestiti di bianco, fantasmi sotto aspetto umano, ma non erano venuti in contatto con nessuno degli abitanti e nel Piceno erano cadute pietre dal cielo e a Cere erano scomparsi i legnetti per interrogare le sorti e in Gallia un lupo aveva tolto ad una sentinella la spada sfilata via dal fodero.”.

In “Ab urbe condita”, Libro XX , paragrafo 1, Tito Livio dice: “Augebant metum prodigia ex pluribus simul locis nuntiata: in Sicilia militibus aliquot spicula, in Sardinia autem in muro circumeunti vigilias equiti scipionem quem manu tenuerit arsisse et litora crebris ignibus fulsisse et scuta duo sanguine sudasse, et milites quosdam ictos fulminibus et solis orbem minui visum, et Praeneste ardentes lapides caelo cecidisse, et Arpis parmas in caelo visas pugnantemque cum luna solem, et Capenae duas interdiu lunas ortas, et aquas Caeretes sanguine mixtas fluxisse fontemque ipsum Herculis cruentis manasse respersum maculis, et in Antiati metentibus cruentas in corbem spicas cecidisse, et Faleriis caelum findi velut magno hiatu visum quaque patuerit ingens lumen effulsisse; sortes sua sponte attenuatas unamque excidisse ita scriptam: “Mavors telum suum concutit”, et per idem tempus Romae signum Martis Appia via ac simulacra luporum sudasse, et Capuae speciem caeli ardentis fuisse lunaeque inter imbrem cadentis“. Traduzione :”I prodigi che venivano annunciati allo stesso tempo da parecchi luoghi, accrescevano la paura: in Sicilia si erano bruciate le frecce ad alcuni soldati; in Sardegna invece a un cavaliere, che girava intorno ad un muro, era bruciato un bastone che teneva in mano; e a Preneste erano cadute dal cielo pietre ardenti; e a Capena si erano alzate durante il giorno due lune; e a Cere erano sgorgate acque miste a sangue, e anche la fontana di Ercole aveva mandato fuori getti cosparsi di macchie sanguigne; e ad Anzio erano cadute ai mietitori spighe insanguinate nella cestella; e a Faleria s’era visto fendersi il cielo con un vasto squarcio, e da questo era balenata un’immensa luce; le sorti si erano assottigliate, e ne era una con l’inscrizione “Marte squassa la sua asta”. Nel medesimo tempo a Roma la statua di Marte sulla via Appia e quelle dei lupi avevano sudato; e a Capua erano apparsi fiammeggianti il cielo e la luna tramontante fra la pioggia. “.

La traduzione dal latino è stata resa possibile grazie al sito:”http://www.studentville.it/”.