UFO: è possibile fotografarli?

luce-santamariacodifiume-zcQuesto articolo, già proposto ai nostri lettori per la prima volta il 16 marzo 2006, vanta il record di essere stato il primo in assoluto, in Italia, sulle possibilità che teoricamente si potrebbero avere di fotografarli. Certo! A nostro parere è possibile fotografare gli UFO utilizzando un semplice apparecchio fotografico digitale. Avendo ottenuto un altissimo consenso in termini di  giudizi espressi e richieste formulate, viene ora riproposto in forma più estesa ed aggiornata. Chiunque abbia vissuto l’esperienze di una presunta immagine di un oggetto volante non identificato (OVNI o UFO) apparso su di una fotografia digitale, non notato direttamente al momento dello scatto e desideri contribuire alla ricerca, potrà contattarci o inviarci il materiale suddetto. Ovviamente, non ci impegneremo nel rispondere a chiunque invii materiale fotografico o video ma se, a nostro giudizio, esso dovesse risultare interessante, avremo cura di eseguire analisi approfondite utilizzando il buon senso, l’esperienza e le conoscenze acquisite.

Durante tale indagine, i nostri primi obiettivi saranno quelli di escludere, nell’ordine:
A) il fotomontaggio digitale, facilmente individuabile per la differenza dei fotoni sul rumore di fondo;
B) il fotomontaggio analogico, facilmente individuabile dalla caratteristica formazione assunta dalla disposizione della luminosità ogni volta che si realizzi una sovrapposizione di pellicola e di scatto;
B) l’assenza di riflesso della luce incidente, anch’esso facilmente individuabile perché si sa esattamente come si comporta la luce riflessa, in maniera più o meno incidente, sia in funzione dell’angolo di assorbimento che in funzione della risoluzione del sensore CCD o Charge Coupled Device, ovvero il “dispositivo ad accoppiamento di carica”. Qualora il materiale analizzato secondo questa procedura fosse da noi ritenuto ufologicamente interessante, si richiederà al proprietario l’autorizzazione alla divulgazione sul nostro sito, ovviamente nel rispetto della Legge sulla Privacy (iniziali del nome e del cognome nonché il luogo, la data e l’ora dello scatto), avendo cura di specificare che la proprietà della foto rimarrà a chi l’ha effettivamente eseguita mentre noi saremo solo coloro che la renderanno pubblica.

È possibile fotografare un UFO?

Ciò che dovrebbe sapere ogni investigatore di fatti di presunta natura ufologica è che fotografare un UFO non è poi un’impresa del tutto impossibile. Nel corso delle nostre conferenze ufologiche ci sentiamo spesso rivolgere domande del tipo: «Le immagini di presunti UFO che attualmente circolano sulle riviste o si vedono nel corso di trasmissioni televisive sono vere o sono false?». Per rispondere a questo tipo di domanda prendiamo in considerazione gli argomenti di seguito sintetizzati:

– le foto vere sono moltissime ma quelle false sono altrettanto numerose (la curiosità);

– di tutta la luce esistente in natura c’è una notevole differenza fra quella percepita dall’occhio umano e quella che riesce a percepire il sensore di una macchina digitale, cioè la luce infrarossa, per cui bisogna avere almeno nozioni di base sullo spettro elettromagnetico (la scienza);

– occorre conoscere il funzionamento di una macchina fotografica digitale, cioè sapere che cosa sono i filtri NIR, sapere cosa significa il potere di risoluzione dei pixel e di sensibilità di un CCD e sapere, infine, che differenze esiste tra un zoom ottico ed uno digitale in termini di fotografia ufologica (la conoscenza);

– conoscendo l’oggetto della ricerca e lo strumento in grado di fotografarla, si può tentare l’impresa di individuare un UFO ben consci, però, che le possibilità reali di inquadrarlo nel nostro CCD, senza chiaramente vederlo ad occhio nudo, sono bassissime: in pratica è una su 800.000 circa, pari alla stessa “possibilità che abbiamo di essere colpiti da un fulmine in un anno di tempo” (la tecnica operativa).

Foto vere e foto false

Untitled 2ufo-specchi-2003La prima foto è un falso UFO triangolare: si tratta di tre lampioni fotografati a Vigarano Mainarda (FE), una notte di settembre del 2005.
La seconda foto è un vero UFO sigariforme, di dimensioni veramente ragguardevoli, avvistato e fotografato nel 2003, da una famiglia ferrarese, nelle vicinanze del Palazzo degli Specchi di Ferrara.

Gli UFO veri su Firenze: 27 ottobre 1954

Citiamo un caso assai lontano nel tempo ma emblematico per il tipo di trucco messo in atto. Parlo del caso della ventina di dischi volanti, di color bianco lucente, apparsi a Firenze il 27 ottobre 1954, a partire dalle ore 14.20 e visti da migliaia di fiorentini.

Dopo circa un’ora, gli UFO si trovavano ancora sulla città e alle 15.27 precise uno si fermò proprio sulla verticale del campo di calcio di Firenze, dove stava avendo luogo l’incontro fra la Fiorentina e la Pistoiese, davanti a migliaia di spettatori e si generò tanta meraviglia che l’arbitro interruppe l’incontro di calcio per alcuni minuti. Quando sembrava che l’enorme formazione stesse per raggiungere la città di Fiesole, all’improvviso tutti gli UFO invertirono la rotta e sorvolarono nuovamente il campo di calcio in tutta la sua lunghezza, tenendo una direzione verso Sud.

bambagia-silicea-firenze-1954L’episodio però è più ricordato per la copiosa caduta di filamenti vetrosi, noti con il termine di “Capelli d’Angelo”, che scesero in quantità industriale sulle teste dei fiorentini. In un primo tempo la definirono “bambagia silicea” in quanto si presentava come vaporosi batuffoli bianchi, più rossi di un normale fiocco di neve: una sostanza che al contatto delle mani si scioglieva immediatamente. Gli UFO viaggiavano in formazione ma operavano in coppia ed ognuna di esse aveva una forma diversa: a gabbiano, a goccia, a cappello cinese, a cilindro ed altre ancora. Molti spettatori erano provvisti di binocolo, macchina fotografica e cinepresa e così, ancor oggi possiamo ammirare quello che accadde mezzo secolo fa in Italia.

Gli UFO falsi su Firenze: 29 ottobre 1954

giorgiobatiniBene! Se migliaia di persone avevano visto, centinaia avevano fotografato e qualcuno aveva filmato il fatto suddetto, che bisogno c’era di creare dei falsi? Eppure, il filmato del telegiornale INCOM che venne trasmesso il 29 ottobre 1954 era vero solo in parte. Accadde, infatti, che i tecnici televisivi, dovendo presentare un filmato collegato alla notizia televisiva e non avendo alcun film originale disponibile, scegliessero di “creare artificialmente un finto disco volante“.
L’episodio è narrato da Giuseppe Stilo, del CISU. Egli, nel 1997, andò ad intervistare Marino Marchi, cineoperatore della INCOM, il quale ebbe a dichiarare che incaricò Dino Sadun, suo assistente, di lanciare su Piazza Michelangelo un palloncino pieno di elio e da lì si girò il famoso filmato televisivo; i due tecnici vollero rendere più credibile una cosa assolutamente vera e testimoniata da una moltitudine di persone ma, così facendo, generarono uno dei più famosi falsi dell’ufologia.

Gli UFO falsi su Oliver’s Castle (G.B.): 11 agosto 1996

oliver's-castle-fakeAltri falsi famosi sono le sfere metalliche che si vedono volare al di sopra di alcuni campi di grano e, addirittura, le si vede distintamente generare crop circles perfetti nel giro di alcuni secondi. Anche in questo caso il regista del filmato ha confessato la manomissione della pellicola. Infatti, l’11 agosto 1996 nella località di Oliver’s Castle (Inghilterra) accadde che John Wheyleigh disse di aver filmato, per 24 secondi, delle sfere di luce che in brevissimo tempo avevano formato uno stupendo crop circle, composto da sette cerchi (https://www.youtube.com/watch?v=jMeRd5EdBwE).

oliverscastle-11082006-arrivoduefalsesfereIl filmato fece il giro del mondo ma venne esaminato dall’esperto di tecnica fotografica computerizzata Paul Vigay che emise la seguente sentenza: il video è falso. Ancor oggi, esaminandolo, è infatti possibile individuare ben tre errori clamorosi: 1) il primo riguarda la tecnica di ripresa, in cui la telecamera rimane immobile e non si muove nemmeno per seguire i numerosi movimenti delle sfere; 2) il secondo riguarda il campo di ripresa della telecamera, in cui si vede che un crop si conclude all’interno di un’inquadratura predefinita; 3) il terzo riguarda la logica delle luci, nella quale le ombre delle sfere non collimano né coincidono approssimativamente con la luce solare.

Alla fine, si apprese che sotto lo pseudonimo di John Wheyleigh si celava il regista John Wabe, della Video First Cup di Bristol (England), il quale ammise pubblicamente che il video era stata una montatura computerizzata. Dunque, se hanno manomesso interi filmati, figuriamoci cosa è mai stato possibile fare con delle semplici fotografie!

L’UFO vero su Bruxelles

Belgium_t1aTuttavia, è bene ribadire che gli UFO veri sono moltissimi ed il caso più eclatante, e relativamente vicino a noi nel tempo, è quello che accadde in Belgio il 30 marzo 1990. Qui, all’improvviso, sulla città di Bruxelles apparve in cielo un UFO triangolare, dotato di fari rossi, verdi e gialli, che svolazzava tranquillamente avanti e indietro e neanche tanto alto da terra. Lo videro, lo fotografarono e lo filmarono in migliaia di persone.

Quel velivolo alieno si mostrò in grado di compiere una serie incredibile di evoluzioni: fermarsi immobile e senza far rumore, a quote diversificate che vanno dai 100 ai 3.000 metri, procedere assai lentamente, ondeggiare, inclinarsi, spostarsi in ogni direzione e passare da zero km orari a velocità supersoniche nello spazio di qualche secondo.
Inoltre, data la quota bassissima ed il gran traffico di persone sotto di sé, non sembrò per nulla preoccupato di essere un “sorvegliato speciale” e non si preoccupò nemmeno dei due potentissimi aerei militari F-16, decollati da una base militare NATO in quanto il radar della base militare di Glons lo aveva intercettato e ne aveva registrato le incredibili accelerazioni: da 45 a 1.700 km/h.
Dunque, questo oggetto non identificato, di forma assolutamente nuova rispetto alla tipologia classica , ha mostrato a noi terrestri che, da qualche parte dell’Universo, esiste una popolazione in grado di visitare il nostro sistema solare ed è dotata di una tecnologia di molto superiore alla nostra in quanto:
1 – l’UFO si è mostrato a migliaia di persone e possiamo quindi dire che è entrato nel campo della “luce visibile” in quanto è stato davvero fotografato e filmato in mille modi;
2 – l’UFO è stato poi intercettato dai radar militari della base di Glons e quindi possiamo dire che emetteva anche fasci di energia e di radioonde e almeno la sua superficie era dotata di potere riflettente;
3 – quando però si è trovato a dover affrontare una minaccia seria, rappresentata da due aerei da guerra, armati di tutto punto e dotati di sistema di rilevamento all’infrarosso, è accaduto l’incredibile: l’UFO si è reso invisibile agli occhi dei piloti e ai sistemi di rilevamento e di intercettazione degli F-16, dimostrando in tal modo che la distanza fra la nostra tecnologia e quella aliena è incommensurabile.

Dal visibile all’invisibile

L’UFO fotografato sopra la città di Bruxelles e sopra tante altre località del Belgio nel marzo del 1990 ci ha mostrato che da qualche parte dell’Universo c’è la capacità di padroneggiare una tecnologia che, allo stato attuale, non è né comprensibile né realizzabile dai nostri scienziati. Essa sembra essere in grado di far passare un oggetto e, probabilmente delle creature pensanti, dal campo della “luce visibile” al campo “dell’invisibile” nel brevissimo spazio di un secondo. In pratica l’UFO belga ha creato uno “stato di invisibilità totale” che andava dalla luce visibile a tutto il resto delle radiazioni elettromagnetiche.
A questo punto, però, dobbiamo capire che cosa significhi trovarsi all’interno o all’esterno della luce visibile e quindi si deve riuscire a rispondere nel modo più semplice possibile alla seguente domanda: «Che cos’è lo spettro elettromagnetico?».

Lo spettro elettromagnetico

EM-SpectrumLo spettro elettromagnetico è l’insieme di tutte le radiazioni elettromagnetiche emesse da un corpo. Ogni corpo naturale od artificiale, che abbia una temperatura superiore a ZERO GRADI, emette radiazioni elettromagnetiche su diverse lunghezze d’onda. Queste radiazioni sono delle cariche elettriche in movimento incessante, che vibrano e oscillano con una certa frequenza, misurata in Hertz (numero di oscillazioni in un secondo) e generano un campo elettrico ed un campo magnetico, perpendicolari ed associati fra loro, che si propagano sotto forma di onda.
Durante il loro percorso di propagazione, provocano un effetto termico visibile e misurabile (l’energia dei raggi del sole produce calore) ed un effetto termico non visibile ma misurabile, cioè i nostri sensi non lo percepiscono ma gli studi su di esso hanno dimostrato che può generare danni (mutazioni genetiche e modificazioni della struttura cellulare e, quindi, possibili tumori).

Le radiazioni elettromagnetiche, oscillando, si distribuiscono in base alla frequenza e alla lunghezza dell’onda. Per questo motivo, possiamo affermare che più è elevata la frequenza di un’onda elettromagnetica tanto maggiore sarà l’energia ad essa associata e tanto minore sarà la sua lunghezza d’onda. Quindi, la lunghezza d’onda (distribuzione spettrale) dipende sia dalla natura del corpo che dalla sua temperatura.
Riguardo alla tematica dell’infrarosso, si deve dire poi che ” più un oggetto è caldo e più radiazioni infrarosse emette “, in quanto queste sono date dall’agitazione termica delle sue molecole. Naturalmente, l’aspetto con cui tali radiazioni si presentano ai nostri sensi “umani” è quello della luce: infatti, il nostro occhio è in grado di rilevare la radiazione elettromagnetica solo all’interno di una banda limitata di lunghezze d’onda, detta SPETTRO VISIBILE.

Lo spettro delle luce visibile

Ai nostri occhi, la “luce visibile” è solo una porzione piccolissima dello spettro elettromagnetico e va dal viola al rosso. Oltre tali limiti esistono delle altre radiazioni, di fronte alla cui energia i nostri occhi sono ciechi: noi non vediamoal di sotto di 0.4 micrometrial di sopra di 0.7 micrometri.

Le radiazioni dello spettro elettromagnetico che hanno una lunghezza d’onda inferiore al viola comprendono i raggi ultravioletti, raggi X e raggi Gamma; quelle che, invece, hanno una lunghezza d’onda superiore al rosso comprendono i raggi infrarossi, le microonde e le onde radio.
All’aumentare della frequenza dell’onda aumenta anche l’energia, ovvero la sua capacità di penetrazione (ecco perché i RAGGI X sono adatti a far radiografie) ma diminuisce, chiaramente, la sua lunghezza.

La dimostrazione che un’onda elettromagnetica produce energia è data sia dal forno a microonde che dalla “Terapia Marconi”; nel primo caso, il cibo viene attraversato da un fascio di MICROONDE che, in pochi minuti trasformano l’energia delle onde in calore; nel secondo caso, le ONDE RADIO CORTE vanno a diminuire il dolore ai muscoli e alle articolazioni.
All’interno dello spettro elettromagnetico, le ONDE RADIO e le MICROONDE (galassie attive e resti di supernove e radiazioni di fondo) giungono quasi tutte a Terra, gli INFRAROSSI (stelle fredde, pianeti e regioni dove si formano stelle) arrivano solo in parte, la LUCE VISIBILE è quella che arriva a Terra ed è riferita alla lunghezza d’onda degli oggetti che vediamo concretamente con i nostri occhi, gli ULTRAVIOLETTI (sole, stelle calde e aloni di galassie) arrivano a Terra solo quelli di lunghezza d’onda maggiore, RAGGI GAMMA e RAGGI X (buchi neri, galassie attive e supernove) non arrivano a Terra e per osservarli si deve uscire dall’atmosfera terrestre.

La regione infrarossa

La regione infrarossa contiene lunghezze d’onda comprese fra i 0.7 micrometri e 1 micrometro circa, letteralmente invisibili all’occhio umano. Oltre queste lunghezze d’onda, ci si addentra nel TERMICO, ovvero si trovano altre due zone dell’infrarosso: il MEDIO INFRAROSSO (da 3 a 5 micrometri) e il LONTANO INFRAROSSO (da 8 a 12 micrometri).
Per rilevare oggetti che emettano un’energia con queste lunghezze d’onda occorre andare oltre la macchina fotografica digitale ed usare la cosiddetta “termocamera”, deputata a percepire il calore e non la luce e assai più costosa di una semplice digitale.

L’era digitale

Con l’avvento dell’era digitale si è ottenuta una massa enorme di materiale ufologico falsificato ma è anche grazie al digitale stesso che moltissime immagini sono assolutamente vere. Pensate a quante persone hanno scattato fotografie in digitale ad amici o a paesaggi e si sono poi ritrovate sulle fotografie dei misteriosi oggetti volanti che non erano visibili ad occhio nudo al momento dello scatto o della ripresa. Tali foto sono state quindi o distrutte o spedite a qualche centro ufologico o denigrate apertamente da amici, conoscenti e scettici di mestiere.
Ora, però, che conosciamo il funzionamento della macchina fotografica digitale e le sue infinite possibilità, noi investigatori dobbiamo essere i primi ad annunciarne la straordinaria portata, in chiave ufologica, e ad innalzarla a “primo strumento del novello ufologo”. È dunque d’obbligo, a questo punto, andare a conoscere il funzionamento di una macchina fotografica digitale. Lo faremo tentando di rispondere ad alcune domande.

Che cosa percepisce l’occhio umano?

occhioL’iride ed il cristallino hanno lo scopo di focalizzare l’immagine sulla rètina dell’occhio. La rètina è una membrana che è sensibile alla radiazione luminosa grazie al lavoro svolto da due tipi di organi posti su di essa: 100 milioni circa di bastoncelli, che sono sensibili alla luminosità e ci permettono la visione in bianco e nero, e circa 5 milioni di coni deputati alla variazione di colori. In quest’ottica, se pensiamo a quanto succede la sera, al tramonto del sole, ovvero al momento in cui ha inizio la diminuzione naturale della luminosità, ne deduciamo che i nostri occhi sono molto sensibili alla variazione della luminosità e sono quindi meno sensibili alla variazione del colore.

Che cosa percepisce la macchina fotografica digitale?

infrarossodigitale-luceledNella foto a lato si nota la luce emessa dal LED di un telecomando, la quale è invisibile all’occhio umano: essa è rappresentata così come la vede il CCD della macchina fotografica digitale. La luce visibile percepita dai nostri occhi è solo una fetta sottilissima di tutta quanta la radiazione contenuta nello spettro elettromagnetico e quindi non può percepire la radiazione infrarossa semplicemente perché questa si trova su di una lunghezza d’onda diversa.
Invece le semplici macchine fotografiche digitali sono in grado di fotografare una buona parte della radiazione infrarossa, giungendo fin quasi all’infrarosso lontano ma, ovviamente, presentando limiti non da poco: le macchinette della fascia più economica, che sono anche le più diffuse, avendo tempi di esposizione e di messa a fuoco impostati di default, non hanno la possibilità di fotografare un cielo buio e non riescono a registrare l’infrarosso più lontano, cioè quello che sfocia nella piena “termografia o radiazione termica”.

La nostra macchina fotografica digitale vede l’infrarosso?

Per capire se sia possibile questa operazione dobbiamo eseguire la prova dei telecomandi, nel modo di seguito descritto:
1 – accendere la fotocamera digitale;
2 – prendere un telecomando qualsiasi (TV, stereo, videoregistratore o altro);
3 – avvicinarlo al sensore CCD tenendo premuto un tasto qualsiasi, in modo tale che il telecomando trasmetta un proprio segnale invisibile al nostro occhio;
3 – controllare se sul display LCD della fotocamera appaia una luce biancastra o giallognola o verdognola proveniente dal LED del telecomando;
4 – eseguire diversi scatti digitali sia a distanze diverse sia con diversi telecomandi: così facendo vi renderete conto delle diverse lunghezze d’onda infrarossa “presenti in casa” e percepibili dal vostro CCD.

La macchina fotografica analogica

Nella macchina fotografica classica o analogica la luce entra attraverso l’obiettivo ed impressiona una pellicola sulla quale è depositato uno strato di materiale fotosensibile: esso, dopo un procedimento noto col nome di “sviluppo”, ha la caratteristica di “fissare le immagini”. Una volta ottenuta la “pellicola sviluppata” o “negativo”, la si può usare per stampare le immagini desiderate; si deve però utilizzare un supporto cartaceo speciale: ovvero, anch’esso deve essere “fotosensibile”.

La macchina fotografica digitale

La fotocamera digitale segue un percorso diverso. Come ben si sa, utilizzando un prisma di vetro è possibile scomporre la luce bianca nello SPETTRO VISIBILE, ovvero in una fascia di colori proprio come avviene quando si crea naturalmente l’arcobaleno: la luce del sole passa attraverso le goccioline d’acqua e si suddivide in vari colori.
Nello SPETTRO VISIBILE i vari colori rappresentano le differenti lunghezze d’onda che vengono misurate in MILLIMICRON, ovvero in milionesimi di millimetro. Dentro a tale spettro si hanno, pertanto, lunghezze che vanno da 400 ai 700 millimicron: dal blu al rosso. E proprio qui, dove finisce il limite dell’occhio umano, ha inizio il fantastico mondo della radiazione invisibile ai nostri occhi.
Da una parte c’è la radiazione ultravioletta e dall’altra parte c’è la radiazione infrarossa: una radiazione assai estesa ma che, per quanto riguarda la fotografia digitale, si limita normalmente al rosso visibile più vicino, che va da 700 a 800 millimicron ma può raggiungere punte da 900 a 1350 millimicron che è, praticamente, l’inizio del mondo delle onde termiche. Quest’ultimo è infatti il concetto generale sul quale riflettere e lavorare: la radiazione infrarossa è un fenomeno termico e non luminoso!!! L’obiettivo focalizza i raggi di luce su di un componente elettronico (CCD o Charge Coupled Device, ovvero “Dispositivo ad Accoppiamento di Carica”) che trasforma la luce in tanti segnali elettrici i quali, opportunamente elaborati, vengono poi memorizzati come “dati digitali“.
I sensori CCD delle digitali sono assai sensibili alle radiazioni infrarosse ed è per questo che la maggior parte di esse è dotata di un filtro in grado di bloccare tale radiazione per “evitare la degradazione della qualità dell’immagine ripresa”. Tale filtro prende il nome di “Filtro anti-NIR” (acronimo di Near Infra Red) ed è costituito da un cristallo trasparente normale o al niobato di litio che è montato fisicamente al di sopra del sensore CCD. Una volta eliminatolo si ha un aumento esponenziale della sensibilità alla luce infrarossa ma, è ovvio, si perde l’equilibrio cromatico molto legato al bilanciamento del bianco.

Le azioni di una macchina fotografica digitale

La fotografia digitale all’infrarosso svolge, dunque, un’importante serie di azioni:
1 – copre una lunghezza assai ampia dell’onda elettromagnetica  e non percepibile normalmente dall’occhio umano;
2 – può aumentare o diminuire la risoluzione del sensore CCD, che è una matrice contenente cellule fotosensibili le quali convertono poi la luce in un segnale elettrico attraverso i famosi “pixel”, cioè elementi fotosensibili in grado di accumulare corrente ( In pratica, succede che la luce riflessa dall’oggetto inquadrato attraversa i sensori viene assorbita in maniera diversificata, a secondo del colore che ha l’oggetto, quindi genera un flusso di elettroni che sono assorbiti da un sottostante strato di silicio, il quale è diviso in tante cellette, dette pixel, che svolgono il lavoro di “sfumatura”, ovvero la suddivisione diversificata dei flussi di corrente elettrica e tali diversificazioni vanno a creare il colore di fondo; ecco spiegato perché sia tanto importante avere un numero di pixel sempre più alto: la numerosità genera nitidezza); tali cariche elettriche vengono infine riversate nella memoria della fotocamera e possono così essere trasformate in un semplice file di immagine (che in questo modo si trasforma in “segnale digitale”, ovvero in una successione valori “0 e 1”) pronto per essere visto su schermo LCD o riversato sul nostro pc;
3 – offre la possibilità di aumentare l’ingrandimento dell’immagine  attraverso lo zoom digitale il quale, attraverso un apposito software gestionale interno, interviene sull’ingrandimento dello zoom ottico e va ad aumentare solo la porzione specifica dell’immagine che si desidera.

L’inganno della luce incidente

Purtroppo non è tutto oro quel che luccica e occorre sapere che  il digitale può essere anche tratto in inganno dalla luce incidente! Infatti, facendo fotografia in digitale nei pressi di fonti luminose, è possibile che si crei il cosiddetto “angolo di incidenza“, ovvero un particolare effetto che si viene a formare quando una fonte luminosa cade più o meno perpendicolarmente alla superficie del CCD della digitale.

Fotografare una fonte luminosa

Per essere più chiari, se noi fotografiamo una fonte luminosa (sole, luna, lampadina, lampione o superfici riflettenti indirettamente una luce, come potrebbe essere il vetro di un’auto o di una finestra) il raggio emesso da quest’ultima si può comportare in uno dei due modi di seguito descritti:

incidenzaanovantagradi– se il mirino CCD è perpendicolare alla fonte luminosa il raggio di incidenza cade perpendicolarmente sulla stessa fonte luminosa, venendone così totalmente assorbito per cui nella foto non si nota alcun riflesso;

 

– se il mirino CCD non è perpendicolare alla fonte luminosa la fonte luminosa quest’ultima interagisce con la futura foto quando l’angolo di incidenza non è perpendicolare, ovvero è maggiore o inferiore di 90°, per cui la fonte luminosa (Sole, Luna, faro o lampione) entra nel campo visivo del CCD e produce un riflesso esattamente rovesciato di se stessa, che può assumere le seguenti forme:
incidenzadiversada90-aincidenzadiversada90-b– se l’angolo di incidenza è di solo qualche grado inferiore o superiore a 90° si ha la riflessione di una forma sferica pressoché perfetta;
– se l’angolo di incidenza è di molti gradi inferiore o superiore a 90° si ha la riflessione di una forma circolare o ellittica.

Aggirare il problema dell’incidenza

Tuttavia esiste un modo assai semplice per aggirare il problema. Grazie al fatto che prima di scattare la foto è possibile vedere sullo schermo LCD l’eventuale angolo di incidenza venutosi a creare a causa di una fonte luminosa che agisce direttamente nell’inquadratura, è sufficiente uscire “fisicamente” da quest’ultima, eseguendo una piccola manovra di spostamento dell’apparecchio digitale stesso, verso l’alto o verso il basso, fino a quando non scompare il riflesso assorbito dal CCD e visualizzato a schermo.

Il problema della data dello scatto

Infine, esiste il  problema della “Data dello scatto” , ovvero, ogni fotografia digitale porta con sé, all’interno del “File Exif” (Tasto destro del mouse, Proprietà informazioni Exif, Nome Campo, Valore Campo), tutta una serie di informazioni che, generalmente, sono relative: al produttore, al modello di macchina fotografica, alle sue caratteristiche tecniche, alle sue capacità operative e ai suoi valori generali di default. Relativamente alle caratteristiche tecniche, ognuno può intervenire manualmente su di esse per adeguare lo scatto ai suoi desideri e quindi aprire un ventaglio di possibilità che possono variare continuamente, quali:
a – il tempo di scatto e la digitizzazione tempo (ora e data);
b – il rapporto di compressione o numero di bits per pixel (funzione utilissima per Internet in quanto permette di comprimere una fotografia o un video in pochissimo spazio, così da velocizzare l’upload su di un sito e il download da un sito);
c – il tempo di esposizione è il valore di esposizione legato alla quantità di luce raccolta dall’apparecchio digitale ed espresso, normalmente, in parti di secondo: 1/2, 1/4°, 1/15°, 1/60° ecc.;
d – il numero F e numero F minimo (valore infinito: 2.8)
e – la lunghezza focale;
f – la risoluzione X e Y (milioni di pixels o Mpix scelti per quella foto, secondo i seguenti parametri: 2048 x 1536 = 3,0 Mpix, 1600 x 1200 = 2,0 Mpix; 1280 x 960 = 1,3 Mpix, 800 x 600 = 480 pix );
g – il rapporto velocità ISO100;
h – il flash (fonte di luce aggiuntiva e fenomeno degli occhi rossi);
i – la sorgente luminosa (tipo di illuminazione scelta in relazione all’illuminazione reale della foto che può essere generata, di norma: da lampade ad incandescenza, da lampade al neon o dalla luce solare diretta o riflessa; ovviamente, è possibile optare per la funzione automatica, detta anche “Auto”);
l – programma esposizione (le eventuali priorità di apertura).

Ora, in mezzo a tutti questi “valori”, a noi interessa il primo, riferito al “Tempo di scatto” e alla “Digitizzazione del tempo” poiché esso deve portare di default i valori dati all’apparecchio digitale al momento della sua costruzione. In pratica, quando eseguiamo un scatto, ad esso viene automaticamente attribuita una data ed un’ora di default. Noi, però, possiamo ovviamente intervenire su questi valori, entrando nelle impostazioni del sistema e modificando sia la data che l’ora proprio come si fa quando si compera un orologio che funziona a batteria. Esistono però due problemi: a) – quando si modifica la fotografia digitale con un qualsiasi programma di digitalizzazione o di fotoritocco, avviene contemporaneamente un cambiamento di data: quella precedente viene sostituita da quella successiva; b) – quando si scaricano le pile o si impiega troppo tempo per la loro sostituzione una volta che queste siano scadute, la data che era stata correttamente impostata torna ai valori di default in automatico, dando così nuovamente luogo ad un cambiamento di data.

Perché abbiamo fatto questo lungo ragionamento?

Chi deve indagare sulla valenza e sulla veridicità di una foto digitale, riferita ad un presunto Oggetto Volante Non Identificato, deve almeno conoscere tutte queste possibilità tecniche dell’apparecchio (hardware) e dei programmi di fotoritocco (software). In questo modo, avendo un bagaglio anche minimo di conoscenze tecniche, avrà un’arma in più per determinare il valore da attribuire allo scatto digitale,  riducendo al minimo il margine di errore  per stabilire se l’eventuale manipolazione sia da attribuire a variazioni di compressione, di dimensione e di tonalità o sia, invece legata a ben altri sospetti, alcuni dei quali facilmente rintracciabili nell’esame della luminosità (pixels) attorno al particolare incriminato della fotografia.

Quante possibilità abbiamo di fotografare un UFO?

Conoscendo l’oggetto della ricerca (UFO) e lo strumento in grado di fotografarla (apparecchio fotografico digitale con CCD sensibile all’infrarosso), si può tentare l’ardua impresa di fotografare un UFO ben consci, però, che le possibilità reali di inquadrarlo nel nostro CCD, senza chiaramente vederlo ad occhio nudo, sono bassissime: in pratica è una su 800.000 circa, pari alla stessa “possibilità che abbiamo di essere colpiti da un fulmine in un anno di tempo”.

Osservando il cielo diurno

Osservando il cielo diurno in una serena giornata estiva, ci siamo mai posti questa domanda: «Quanto riesco a veder lontano?». La risposta è: «Non molto, ma abbastanza rispetto alla grandezza dell’oggetto da osservare».
A 100 Km circa distinguiamo bene monti ed eventuali cime innevate.
A 30 km circa distinguiamo una lunga e bianca scia di vapore acqueo di un aereo militare spinto al limite.
A 25 km circa distinguiamo il puntino luminoso di un aereo militare seguito da una lunga scia bianca.
A 20 km circa distinguiamo un aereo militare ma appare come un piccolissimo bastoncino senz’ali.
A 10 Km circa distinguiamo un aereo di linea ma appare come un bastoncino di circa 1/2 cm, con le ali.
A 2,5 Km distinguiamo una casa normale ma l’occhio la vede grande circa 1 centimetro quadrato.

Ovviamente, oltre a queste distanze, ve ne sono anche altre, assai superiori, che non vengono però prese in considerazione poiché afferiscono alla sfera dei satelliti. In pratica l’occhio umano può agevolmente arrivare a distingue un bagliore diurno, posto a 36.000 km di quota, provocato dal movimento dei pannelli solari montati su alcuni tipi di satelliti. Si deve però sapere che tale bagliore ha, in molti casi, una magnitudo anche assimilabile a quella della stessa Luna ma tale luminosità non è una caratteristica tipica dei nostri UFO, i quali emettono più facilmente una luminosità che non si diffonde nell’ambiente circostante e sembra essere confinata attorno alla sola superficie esterna.

A che altezza sarà l’oggetto volante?

Ci siamo mai chiesti a che altezza si trovano tutti quegli oggetti che ci volano sulla testa? Ecco qui sotto la risposta.

Fino a 36.000 km operano i satelliti meteo, quelli televisivi e quelli per le telecomunicazioni;
Fino a 20.000 km operano i satelliti per la navigazione GPS.
Fino a 10.000 km operano i satelliti scientifici, quelli per i dati ed i satelliti per la telefonia.
Fino a 2.000 km operano i satelliti per i soli dati.
Fino a 1.000 km operano i satelliti ENVISAT ed IRIDIUM
Fino a 900 km operano i satelliti di telerilevamento.
Fino a 500 km operano il telescopio spaziale HUBBLE e i satelliti astronomici.
Fino a 400 km opera la stazione spaziale ISS.
Fino a 250 km operano lo Space Shuttle ed i satelliti spia.
Da 60 a 100 km è il regno degli aerei sperimentali ed ipersonici.
Da 50 a 60 km volano i razzi meteorologici.
Da 40 a 50 km si trovano i palloni sonda e le sonde spaziali da 30 a 40 km
Da 30 a 40 km di quota operano le radiosonde e gli aerostati sperimentali.

Da 20 a 30 km (distanza diurna già osservabile abbastanza nitidamente ad occhio nudo) operano diversi tipi di aerei militari, certi aerostati e l’aquilone “Parafoil”
Fino a 15 km vi sono i grandi aerei commerciali e certi aerostati.
Fino a 10 km troviamo i piccoli aerei commerciali, il pallone frenato sagomato e l’aquilone cellulare frenato.
Fino a 6 km volano gli elicotteri militari ed il pallone frenato sferico.

Al di sotto dei 3 km volano gli aerei ultraleggeri ed i deltaplani a motore.

Nel leggere questa tabella sappiate che la quota massima alla quale può giungere un essere umano senza perdere conoscenza e di 15.000 metri; tuttavia i piloti militari americani hanno l’obbligo di indossare la maschera dell’ossigeno non appena superano i 35.000 piedi (m. 10.668).

Al fine di avere un conoscenza abbastanza completa di ciò che ci vola sulle teste è bene essere a conoscenza delle informazioni riguardanti un particolare aereo sperimentale della NASA, denominato ELIOS, funzionante ad eliche e con una superficie alare di ben 75 metri. Esso, il 13 agosto 2001, con il supporto di un’alimentazione a pannelli solari, ha potuto raggiungere un’altezza record di 29,5 km. Si tratta di un traguardo che ha dell’incredibile poiché vi sono almeno cinque i fattori contrari:
1 – la densità dell’aria, a queste altezze, è circa 1/100 di quella a livello del mare;
2 – la portanza, che essendo proporzionale alla densità dell’aria diminuisce rapidamente con l’altitudine;
3 – la pressione atmosferica (corrispondente ad un’atmosfera a livello del mare, a 0° centigradi) che già a 15 km di quota è ridotta di un decimo del valore di base;
4 – la diminuzione progressiva dell’ossigeno (elemento chimico alla base della combustione nei motori) man mano che si sale;
5 – la temperatura nella TROPOSFERA (fino a 15 km di quota circa), zona dei fenomeni atmosferici più frequenti, diminuisce con regolarità da 25° ai -75° C, nella STRATOSFERA (fino a 50 km di quota circa) risale da -75° a 25° C. Nella stratosfera c’è poi la barriera dello strato di ozono, detta OZONOSFERA (barriera naturale contro i raggi ultravioletti), che circonda la Terra, iniziando da una quota di 15 km, raggiungendo una concentrazione massima ai 30 km e diminuendo sempre più fino a 40 km.

Ed ora siamo quasi pronti!

Ed ora, finalmente, dopo ore di lettura, siete quasi pronti per iniziare ad osservare con maggior tranquillità ma, soprattutto, a rispondere con serenità alla domanda: «Quanto era grande l’oggetto che avete avvistato?».
Molti prendono come termine di paragone la grandezza della Luna, ma è poco corretto in quanto essa ci appare di diametro sempre diverso. Se invece ci si abituasse ad avere come termine di paragone 1 cmq, si farebbero già tante operazioni mentali abbastanza attendibili rispetto sia alla grandezza che alla distanza apparenti dell’oggetto avvistato.

In estrema sintesi, se osservate il cielo di giorno sapete già che:
– a 2,5 km di distanza una superficie di circa 80 mq appare grande come 2 cmq circa;
– a 10 km di distanza la superficie di un aereo di linea ci appare lungo circa 1/2 cm;
– a 20 km di distanza la superficie di un aereo militare ci appare grande poco più di un punto;
– a 30 km di distanza si vede bene la scia di un aereo militare ma il velivolo lo si intuisce grande come un puntino infinitesimale.

Quante possibilità ci sono di vedere un UFO?

Le possibilità che abbiamo di vedere un UFO sono assai scarse e corrispondono, come abbiamo detto, ad una su 800.000 circa rispetto alla nostra condizione di “terrestri”. Per arrivare a tale dato dovete seguirci ancora un po’ nel ragionamento. Fate molta attenzione alla formula per ottenere la superficie della calotta sferica terrestre: 2 x 3,14 x raggio x altezza ovvero (2 x 3,14 x 100 x 10) Kmq 6.280. Ma un conto è osservare tutto questo cielo che si estende per 100 km in altezza e un conto è osservare un oggetto che abbia una “superficie visibile” complessiva di circa 100 mq.
Facciamo un po’ di conti: immaginate di trovarvi al centro esatto di un grande cerchio, che si estende per metà al di sopra della superficie terrestre e per l’altra metà al di sotto di essa; il raggio di tale cerchio è, appunto, di 10 km. Create ora un primo rapporto fra la superficie delle terre emerse (Kmq 149.400.000) ed il cielo sopra di voi (che a questo punto è dato dalla formula: 2 x 3,14 x 10 x 10 = 628 kmq), per capire quante volte esso sia contenuto all’interno della superficie terrestre. Per fare ciò dovete eseguire la seguente divisione: 149.400.000 : 628 = 237.898,08 che è il valore che rappresenta il nostro primo punto fermo, ovvero: rispetto alle terre emerse, abbiamo una probabilità su 240.000 circa (arrotondato per eccesso) di veder un UFO. Naturalmente il numero suddetto è inattendibile in quanto il rapporto vero, per noi terrestri, si ha solo confrontando il “cielo sopra di noi con la superficie di tutto il pianeta”.
Per ottenere tale valore dobbiamo perciò dividere la superficie totale del pianeta Terra (kmq 510.100.000) per la superficie totale del cielo sopra di noi (Kmq 628); il valore che si ottiene, “kmq 812261,1465“, viene arrotondato per difetto a kmq 800.000 e rappresenta le reali probabilità di vedere un presunto UFO sopra di noi: una su 800.000 circa. Questa cifra corrisponde alla probabilità che abbiamo di essere colpiti da un fulmine nell’arco di un anno e corrisponde quasi alla probabilità che abbiamo di fare una cinquina al lotto: una su un milione. Dunque, qualora dovessimo riuscire nell’impresa di vedere un UFO o di fotografarlo in digitale potremmo ben definirci delle persone fortunatissime… e poiché in tanti ci sono riusciti vale la pena di tentare.

Iniziamo a fotografare

Ora che sappiamo di che cosa sia capace la nostra macchina fotografica digitale e conosciamo esattamente la probabilità sulla quale poter contare per avere la fortuna di fotografare un UFO che in quell’istante non si vedeva ad occhio nudo, non ci rimane altro da fare che compiere l’ultimo passo: ovvero iniziare a scattare delle fotografie! Certo non possiamo uscire di casa ed iniziare a fotografare quasi a casaccio! Dopo tanta teoria è davvero meglio essere un po’ organizzati.

Le regole di base

1 – Impostare la risoluzione minima della macchina ad almeno 1.600 x 1.200 pixel in quanto con questa definizione possiamo innanzitutto stampare su carta una foto grande cm 15 x 21 (il normale foglio ad uso stampa è di circa cm 21 x 29,5) senza perdere di qualità, possiamo caricare velocemente la foto in memoria ed essere subito pronti per la successiva e possiamo, infine, dare l’opportunità di fotografare alla quasi totalità delle fotocamere digitali in commercio.

2 – Eseguire gli scatti a gruppi di tre, in rapida successione, su 180° rispetto agli orizzonti disponibili in quel momento e in quel luogo (ovvero si deve eseguire la tecnica delle foto ad arco).

3 – Con la prima e l’ultima foto sui due orizzonti visivi si devono sempre inquadrare dei paesaggi (case, alberi, colline, montagne, magazzini, fabbriche, strade, ecc.) perché è molto importante avere punti di riferimento nel caso la sorte ci fosse favorevole.

4 – Se possibile, inquadrare zone di cielo con almeno qualche nuvola quando si procede con le foto di mezzo, perché le nuvole offrono comunque un punto di riferimento abbastanza attendibile.

5 – Evitare di perdere tempo ad eseguire scatti al buio, di sera o di notte, perché il sensore digitale è sensibile alla luce emessa dagli oggetti, può raccogliere radiazioni fino alla gamma dell’infrarosso vicino e medio ma non può mai arrivare nell’infrarosso lontano, quello per intenderci che è totalmente dentro al termico. Tuttavia è bene sapere che maggiore è la dimensione del nostro sensore (CCD) e meglio è per noi (ma non per il nostro portafogli); infatti, i sensori hanno bisogno di un tempo di esposizione che è necessario ai suoi elementi sensibili per misurare la luce dell’oggetto da fotografare e trasformarla in un flusso di elettroni pronto per essere memorizzato. Da questo consiglio è ovviamente escluso il caso in cui l’UFO sia visibile ad occhio nudo e si trovi ad una distanza accettabile per la nostra macchinetta. In questo caso, se possibile, cercare di riprenderlo facendo entrare nello schermo qualche particolare utile ad individuare lo sfondo.

6 – Controllare appena possibile il risultato degli scatti per verificare che cosa abbiamo fotografato. Questa azione ci sarà utilissima nel caso si sia inquadrato qualcosa di assai visibile e valga la pena di tentare di avere il tempo di eseguire altre foto impostando la risoluzione al massimo disponibile.

Quale macchina fotografica digitale acquistare?

Se ancora non possedete la macchina fotografica digitale (e questo articolo vi ha sufficientemente stimolati ad acquistarla), non correte assolutamente dietro ad apparecchi costosissimi, da 10 e più megapixel, inutili ai fini ufologici di base e del tutto inadatti al 90% dei computer posseduti dagli italiani poiché la loro elaborazione richiede una potenza esagerata di RAM, un processore assai potente ed un non indifferente quantità di memoria.

Puntate su uno strumento anche usato, ma non inferiore ai 5 milioni di pixel e controllate che abbia alcune funzioni utilissime:
1 – lo zoom ottico e digitale insieme, in quanto quest’ultimo interviene su quello ottico, sceglie una particolare anche piccolissimo dell’immagine ingrandita e, a sua volta, la ingrandisce fino al massimo consentito ma senza perdere eccessivamente di qualità;
2 – la funzione di rivedere subito lo scatto sullo schermo LCD, anche con l’aiuto dello zoom digitale;
3 – una scheda di memoria di almeno 16 MB, più che sufficienti a gestire una ventina di buoni scatti ad una risoluzione orizzontale di 2048 x 1536, corrispondenti a 3 milioni di pixel (Mpix);
4 – la funzione che permette di eseguire brevi filmati, di almeno 15 o 20 secondi; non è indispensabile l’audio in quanto il 99% di chi ha dichiarato di aver avvistato un UFO ha poi confermato che questi non emettevano alcun tipo di rumore e, solo in sporadici casi, qualcuno ha testimoniato di aver udito un flebile sibilo di fondo, tuttavia è meglio averlo per registrare i rumori di sottofondo, utilissimi per tentare di comprendere meglio l’ambiente della registrazione del presunto avvistamento, e la propria voce;
5 – la funzione dello scatto automatico, di ameno 3 foto per secondo, assai utile per fermare i movimenti e le evoluzioni degli oggetti non identificati eventualmente entrati nel campo visivo del vostro CCD.

Falso mito dei Megapixels

Quando decidiamo di recarci ad acquistare un apparecchio fotografico digitale, dopo aver a lungo consultato riviste e cataloghi promozionali e visitato negozi specializzati, siamo inevitabilmente attratti da ciò che, rispetto ad un prezzo abbordabile per le nostre finanze, offre la possibilità di utilizzare un numero di pixels sempre maggiore, che viene venduto sotto la pomposa denominazione di “risoluzione“. Questa definizione è però leggermente fuorviante poiché lascia intendere che all’aumentare del suo valore assoluto aumenti effettivamente il grado di nitidezza degli scatti digitali. Facciamo allora un po’ di chiarezza!
Si crede che con l’aumento dei pixels che compongono il sensore del nostro apparecchio (da 1,3 del 2003 il mercato si è ormai orientato nel 2015 verso i 13 milioni di pixels, noti anche come Megapixels), si riesca ad ottenere fotografie digitali sempre più nitide.

Da un certo punto di vista, diciamo così “profano”, sembra proprio che il termine “risoluzione” lasci intendere che le nostre macchinette siano sempre più propense ad offrirci la possibilità di mettere meglio in evidenza certi piccoli particolari (tanto cari a noi ufologi), proprio in funzione dell’aumentato numero di pixel del sensore di cui è dotato l’apparecchio digitale e, contemporaneamente, sembra addirittura che ne venga alzato non di poco il lignaggio delle prestazione ottiche effettive dell’obiettivo. Sarà vero?
Il novello acquirente dovrebbe infatti conoscere a memoria la seguente regoletta: “Raddoppiare il numero di pixels non significa raddoppiare la risoluzione“. Proviamo a spiegarci meglio con un esempio, confrontando due apparecchi digitali: uno moderno da 8 Megapixels con uno un po’ datato da 4 Megapixels. Mentre quello da 8 Megapixels può produrre un’immagine da 3.200 x 2.400 pixels, quello da 4 Megapixels può arrivare al massimo al formato 2.400 x 1.800 pixels che, appunto, non si può definire “la metà” dell’altro!!!
Ovvero, applicando la proprietà commutativa, un sensore da 8 Megapixels, rispetto ad uno di 4 Megapixels, produce un aumento effettivo del 50% (cinquanta per cento) e non del 100% (cento per cento) poiché il raffronto sulla risoluzione deve essere fatto solo su una delle due dimensioni: o quella orizzontale o quella verticale. Perciò, a conti fatti, se desideriamo passare al raddoppio effettivo della risoluzione partendo dalla nostra vecchia digitale da 4 Megapixels del 2003, non dobbiamo fermarci all’apparenza degli 8 Megapixels del 2009 ma aspettare l’arrivo dei 16 Megapixels poiché il doppio ha offerto la metà quindi, per avere l’intero abbiamo bisogno del quadruplo! Chiaro, ora? E poiché il mercato 2015 si è stabilizzato verso i 13 Megapixel non ci resta che attendere il mercato dei prossimi tre anni, cioè il 2015-2018 per avere una fotocamera o un sensore del nostro telefonino in grado di offrire una definizione esattamente grande il doppio rispetto alle prestazioni delle fotocamere del 2003. Insomma, tecnologicamente parlando, per raddoppiare la definizione si devono attendere una quindicina d’anni, circa!
Sappiate poi che, anche quando avrete la disponibilità del tanto desiderato raddoppio della definizione si potrebbe creare un ulteriore problema, questo sì davvero di non poco conto se non si interverrà drasticamente anche sull’aumento del sensore, anche qui legato ad una semplice regola matematica: se si quadruplicano i pixels e si compie la scelta di non aumentare la superficie complessiva del sensore, deputato alla determinante funzione della raccolta della luce, si deve necessariamente ridurre la superficie di ogni singolo fotosito il quale, a questo punto, si troverà ad essere quattro volte più piccolo rispetto a prima! In pratica, non intervenendo anche sull’aumento del sensore si diminuirà la superficie deputata alla raccolta della luce, che è la base della fotografia. Che cosa pensate che possa accadere? Semplice: la vostra macchinetta, superarcistraultramoderna avrà una sensibilità diminuita rispetto a prima, e non di poco!

Qualcuno potrebbe anche obiettare che sarebbe tecnologicamente possibile aumentare l’amplificazione del segnale (ed il costo, ovviamente) attraverso un aumento del valore della sensibilità ISO ma credo che, per un ufologo, ciò potrebbe rivelarsi un danno enorme poiché si avrebbe anche un aumento esponenziale del rumore di fondo o rumore determinato dalle fluttuazioni casuali dei segnali elettrici, che provoca una sorta di “rugosità o granulosità” di aree di colore simile.
Ovviamente, giunti a questo punto vi risparmiamo il discorso sulla “grandezza complessiva del file” poiché dovremmo parlare di una quantità enorme di memoria necessaria ad immagazzinare una semplice fotografia. Chi desideri ulteriori approfondimenti al riguardo, in modo particolare per il sensore e le focali, potrà leggersi l’ottimo articolo di Mauro Baldacci, pubblicato su PC Magazine di Giugno 2007, da cui si è preso lo spunto per approfondire questa sezione. Meditate, dunque e fate tesoro di tutto ciò che ora possedete e che prima nemmeno immaginavate, forse.