UFO Crashes presunti: dubbio Tunguska

Tunguska_1Sul quotidiano del Corriere della Sera di martedì 30 ottobre 2007 è apparso, nelle pagine dedicate alla scienza, un interessante articolo di Giovanni Caprara relativo ad una disputa, tuttora in atto, fra scienziati italiani e colleghi inglesi, riguardo al presunto impatto di un corpo celeste nei pressi del fiume Tunguska Pietrosa o Tunguska Mediana, il terzo affluente di destra dello Jenisej, che nasce a Nord delle sorgenti del fiume Angara e scorre per 1830 km attraverso gli altipiani pressoché disabitati della Siberia Centrale (URSS). Qui, alle 07:17 (ora locale) del 30 giugno 1908, ad oltre 2.000 km da Mosca, accadde un fenomeno unico nella storia del nostro pianeta.

Un’esplosione immane

Ad una quota compresa fra i sei e gli otto chilometri, al di sopra di una zona situata fra la latitudine Nord di 60° 53′ 09” ed la longitudine Est di 101° 53′ e 40”, avvenne un’esplosione terrificante, con un’emissione di energia compresa fra i 10 ed i 15 megatoni: in pratica centinaia di volte la potenza sprigionata dalla bomba atomica fatta cadere su Hiroshima. Il boato dello scoppio venne udito ad oltre 200 km di distanza ma fu anche registrato dai sismografi degli osservatori di Mosca, Londra, Parigi e Washington. La spaventosa potenza di tutta quell’energia generò delle onde d’urto che si susseguirono violentissime mentre, in pochi secondi, venne scarica a terra, su un’area di oltre 2.000 kmq, un’impressionante tempesta infuocata e radioattiva che abbatte circa 60 milioni di alberi e fu osservata visivamente da moltissimi siberiani distanti centinaia di chilometri.

Un’ondata di luce e calore

L’ondata di calore ebbe un fronte tanto vasto che gli abitanti dei piccoli villaggi situati anche ad alcune decine di chilometri ne vennero colpiti e furono costretti a togliersi gli abiti da dosso. Nello stesso tempo nel cielo prese lentamente forma prima una cupa aurora boreale rossastra, la cui luminosità fu tale da consentire ai londinesi, ad oltre 6.000 km di distanza, di leggere il giornale di notte senza bisogno di accendere le lampade. Poi si generò un’intensa pioggia di polvere nera come la pece, che andò a contaminare l’area, inaridendola completamente e con effetti talmente devastanti da essere ancor oggi visibili. Infine, dopo circa sei minuti dalla deflagrazione, ebbe inizio una tempesta magnetica che si protrasse per diverse ore e venne rilevata dagli strumenti dell’Osservatorio Meteorologico della città di Irkutsk, a circa 1.000 km di distanza verso Sud, nei pressi del Lago Bajakal.

L’ipotesi dei ricercatori italiani

La contesa odierna, fra i nostri ricercatori e quelli inglesi, riguarda il “lago Checo“, un piccolo bacino circolare profondo 50 metri e con un diametro di circa 300 metri. Secondo i geologi bolognesi Giuseppe Longo dell’Università e Luca Gasperini del Consiglio Nazionale delle Ricerche, esso sarebbe stato creato dalla caduta di un frammento del corpo celeste che il 30 giugno 1908 esplose sul cielo della Tunguska Pietrosa. La deflagrazione che ne seguì sprigionò un’energia equivalente a circa mille bombe atomiche, simili a quelle di Hiroshima, incenerì ottanta milioni di alberi e creò il deserto su di un’area di circa duemila chilometri quadrati.
I nostri ricercatori, che hanno pubblicato i loro risultati sulla rivista “Terranova”, sono partiti dall’ipotesi che un grosso frammento del corpo celeste suddetto avrebbe potuto essere sopravvissuto alla scoppio in quota e così, dopo aver svolto le opportune ricerche, hanno scoperto che il lago si trova sull’esatto prolungamento dell’ipotetica traiettoria di caduta dell’oggetto di Tunguska. Il luogo ove si trova il lago Checo era, in origine, paludoso e formato da permafrost, cioè terreno ghiacciato e sulle vecchie mappe, anteriori al 1908, esso non era segnato.

L’ipotesi di un ricercatore inglese

Da Londra risponde Gareth Collins, un ricercatore del Natural Environment Research Council presso l’Imperial College londinese. Secondo la sua ipotesi gli scienziati italiani non avrebbero fornito “alcuna prova conclusiva sul fatto che il lago Checo sia frutto della caduta di un frammento legato a Tunguska”. A suffragio di ciò, cita la mancanza di segni caratteristici da impatto, ovvero mancherebbero:
– le tracce nelle rocce, provocate dalle alte temperature e dalle pressioni subite;
– un bordo sopraelevato intorno alla zona dello scavo;
– segni sugli alberi che si trovano attorno alla zona bruciata dall’impatto, piante che avendo oltre un secolo di vita non presentano segni evidenti di disturbo dall’esterno.
Per tali ragioni, secondo Collins, se anche qualche pezzo di roccia è mai arrivato al suolo, esso era troppo piccolo e lento per riuscire poi a formare un lago di trecento metri di diametro.

Le risposte italiane alle osservazioni inglesi

Da Bologna, ovviamente, non sono tardate le risposte ed i nostri ricercatori hanno fatto sapere che questo lago meteorico è completamente diverso dagli altri 170 crateri mappati sulla Terra perché esso si è formato su di un terreno ghiacciato e di origine paludosa. Per tale semplice ragione, i criteri di valutazione dedotti dagli altri impatti non si possono applicare a questo lago. Infatti, se è pur vero che al momento dell’impatto viene a formarsi un anello sopraelevato attorno all’area di scavo, tale anello è certamente scomparso in breve tempo per la natura stessa di quel terreno ghiacciato e paludoso.
Inoltre, poiché il fondale riflette le onde elettromagnetiche questo potrebbe essere un valido motivo per attribuirne l’origine ad un impatto meteorico che, essendo scoppiato in quota, a questo punto dovrebbe essere un bolide. A tal proposito, i ricercatori bolognesi hanno annunciato che nel 2008 organizzeranno un’altra spedizione mirata a raccogliere campioni sul fondale del lago Checo.
Ovviamente, noi ufologi e diversi scienziati locali russi, che laggiù ci sono andati diverse volte con importanti spedizioni scientifiche, abbiamo opinioni diverse: laggiù potrebbe essere davvero caduto un disco volante o qualcosa di simile.