Siamo soli nell’Universo?

are-we-alone-in-the-universeCredo che non siamo soli in questo sterminato Cosmo e che i pianeti abitabili siano davvero tanti. E come me la pensa anche l’astronoma Margaret Turnbull, la quale è riuscita a dimostrare il sogno del suo collega Frank Drake: “Attorno alle stelle di Tau Ceti e di Epsilon Eridani esistono pianeti orbitanti“. Poiché allo stato attuale l’uomo non è in grado di compiere viaggi spaziali che vadano oltre la Luna egli non ha la possibilità di scoprire di persona ET. Pur tuttavia, attraverso il segnale radio è possibile effettuare tentativi di contatto. Fu questa la teoria che ispirò Drake verso il Progetto OZMA, nel tentativo di scoprire ipotetici segnali radio alieni, provenienti dall’interno della nostra Galassia ed intercettati dal radiotelescopio di Greenbank fin dal 1961. L’astronomo americano dedicò un’intera settimana del suo tempo all’ascolto delle radiosorgenti provenienti dalle stelle più vicine di Tau Ceti ed Epsilon Eridani e, pur non scoprendo nulla durante quel mitico tentativo, anche perché lavorò su un grado di probabilità bassissimo, non cambiò minimamente idea.

UNA SCOPERTA INDIRETTA

Da allora di strada se n’è compiuta tanta e si è scoperto ciò che l’altezzosa scienza astronomica negava per il semplice motivo che le strumentazioni terrestri non erano in grado di vedere oltre: lassù, ogni stella ha i suoi pianeti e la probabilità che molti di essi possano essere abitati è elevatissima. Noi, osservando il cielo con la strumentazione scientifica del passato, non riuscivamo a vedere anche i pianeti orbitanti attorno a quei lontani Soli, per un fenomeno ottico creato dalle stesse stelle. Infatti, se potessimo spostarci su Tau Ceti o Epsilon Eridani e tentassimo un’osservazione del nostro Sistema Solare, vedremmo certamente il nostro Sole, ma il suo splendore offuscherebbe totalmente la debolissima luce riflessa dalla superficie di Marte, di Giove e di ogni altro loro collega del Sistema Solare. Questo, dunque, è stato il vero motivo per cui non si è mai riusciti, fino a pochi anni fa, ad intercettare visivamente i pianeti orbitanti attorno alle altre stelle.

Tuttavia, in questo ultimo decennio di strada se n’è fatta tanta e si sono scoperti questi pianeti in maniera indiretta, attraverso lo stesso metodo che ha permesso all’astronomo tedesco Friedrich W. Bessel (1784-1846) di dedurre la certezza dell’esistenza di Sirio B. Egli osservò che Sirio presentava diverse stranezze: aveva un oscillamento continuo, lento e leggero, ed era associato ad una piccola variazione della luminosità. Egli pensò subito ad un effetto gravitazionale, dovuto alla presenza di una compagna di viaggio. Ebbe ragione e fin dal 1826, grazie ad Alvan Clarck, sappiamo che esistono Sirio A e Sirio B: la prima è chiamata anche “Dog Star” e la seconda è detta, in assonanza alla prima, “Cucciolo“. Gli antichi chiamavano Sirio con la parola “Canicula”, perché essa, in agosto, sorgeva assieme al Sole ed annunciava l’inizio del periodo più caldo dell’anno, detto anche “I giorni della Canicola”, che altri non era che il diminutivo della parola italiana “cane” e della parola inglese “dog”, appunto.
Nei tempi moderni, questo metodo per scoprire la presenza di pianeti orbitanti attorno a stelle è stato definito in vari modi: fenomeno delle lievi perturbazioni, fenomeno delle lenti cosmiche e fenomeno delle microlenti gravitazionali. Quest’ultimo è legato alla Teoria generale della relatività formulata da Einstein, per il quale i fotoni vengono deflessi da un campo gravitazionale e si comportano come se fossero fatti di materia. In pratica succede che una stella A passa davanti ad una stella B e devia verso il nostro punto di osservazione i fotoni (cioè la luce), determinando così un aumento della luminosità della prima stella. La microlente gravitazionale produce in realtà due immagini della stella, che sommate hanno un’intensità assai maggiore della stella stessa, ma essendo fra di loro assai vicine, non si riesce a distinguerle con un normale telescopio.

IL PARADOSSO DI FERMI

Certo che una cosa è pensare che la vita si sia sviluppata ed esista tuttora altrove, altra cosa è immaginare che si sia sviluppata in forma intelligente. Infatti non può essere matematico il fatto che la selezione naturale possa far avanzare automaticamente verso lo sviluppo dell’intelligenza.
Una riflessione assai simile nella sostanza, ma molto diversa nella forma, se la pose Enrico Fermi (1901-1954): «Se ET esiste, dov’è?». Egli fu il fisico italiano autore di importanti studi sulla fissione nucleare, sulla meccanica statica e sull’elettrodinamica, nonché premio Nobel per la fisica nel 1938. Dopo essersi trasferito negli USA, lavorò alla costruzione della pila atomica e nel 1942, quando entrò in funzione, dimostrò che era possibile controllare ed utilizzare le reazioni di fissione nucleare. Tra gli ufologi egli è particolarmente famoso per via di quel ragionamento conosciuto come “Il paradosso di Fermi“: se ET esiste veramente, come mai non si trova già qui?

Il suo ragionamento non faceva una piega ed era di una semplicità incredibile. Egli sosteneva che se un’ipotetica civiltà extraterrestre si fosse sviluppata prima della nostra, avrebbe potuto iniziare ad esplorare il Cosmo, attraverso una programmazione di viaggi generazionali verso ipotetici pianeti abitabili. Una volta che i pianeti fossero stati rinvenuti e la prima colonizzazione fosse state compiuta, si sarebbe passati alla fase del consolidamento, della durata di qualche secolo, attraverso l’invio di navette spaziali verso i pianeti scoperti. Così, in soli cinque secoli, quella prima civiltà avrebbero già potuto disporre di diversi pianeti abitati ed è facile intuire come, procedendo di questo passo, in circa 4 milioni di anni si sarebbe potuta colonizzare tutta la nostra Via Lattea.

UNA POSSIBILE RISPOSTA AL PARADOSSO

Tenendo presente che la Terra ha circa 4,5 miliardi di anni e l’Universo si pensa che abbia un’età compresa fra i 10 ed i 20 miliardi di anni, la nostra Galassia o Via Lattea rappresenta solo un puntino pressoché invisibile in un Cosmo che si espande tutto intorno a noi, ben oltre i 100 miliardi di anni luce. In tale sistema stellare si ha un numero di galassie pressoché illimitato e poiché ogni galassia comprende mediamente da 100 a 400 miliardi di stelle, nessuno è in grado di ipotizzare dove possa essersi sviluppata la vita oltre che sulla Terra e tanto meno può identificare possibili coordinate di pianeti colonizzati da un’ipotetica civiltà aliena sviluppatasi prima di quella terrestre.

I VIAGGI INTERSTELLARI

Inoltre, esiste il problema concreto della velocità di spostamento: alle velocità attuali, i modernissimi mezzi spaziali impiegherebbe decenni solo a raggiungere i confini del nostro Sistema Solare, mentre un viaggio verso una stella che si trovasse anche a soli 4,5 anni luce da noi richiederebbe intere generazioni di astronauti. In altre parole, un viaggio interstellare non è attualmente possibile e questa dura realtà rimarrà tale ancora per secoli, probabilmente. Si può spaziare un po’ con la fantasia, poiché la velocità del progresso lascia ampio margine alle scoperte, ma l’uomo ha comunque il forte vincolo delle dure leggi della fisica e, allo stato attuale delle conoscenze, si pensa che anche il raggiungimento della velocità della luce sia impossibile da eguagliare per un velivolo spaziale. Ovvero, per la nostra attuale fisica, la velocità della luce è la massima velocità teorica possibile per un mezzo che si debba muovere negli spazi cosmici e rappresenta il limite noumenico a cui l’uomo può solo tendere, senza però mai raggiungerlo e tanto meno superarlo. Tutto ciò, non impedisce però due riflessioni: la prima riguarda le altre eventuali civiltà aliene e la seconda è riferita alla teoria della dilatazione del tempo.

TRA CIVILTÀ EXTRATERRESTRI E TEMPO DILATATO

Quelle ipotetiche civiltà aliene a cui alludeva Enrico Fermi, potrebbero essere nate assai prima della nostra e riflettendo sul fatto che l’uomo, nel corso di solo qualche secolo, è già riuscito ad aumentare la lunghezza media della vita di oltre trent’anni, forse quegli esseri viventi su ipotetici altri pianeti abitabili sono anche riusciti a fare meglio. Essi potrebbero non solo aver sviluppato veri e propri sistemi ibernativi, ma anche essere passati molto prima di noi dalle parti della Teoria della Relatività, scoprendo così che l’effetto della dilatazione del tempo è una realtà bellissima: i vari intervalli del Tempo sono relativi al proprio stato di moto! Per comprendere tale effetto, normalmente viene citato l’esempio di un orologio al polso di un astronauta che viaggi alla velocità della luce, e un altro orologio al polso dello scienziato che ne segue il volo da Terra: quello in viaggio fra le stelle inizia ad andare ad una velocità inferiore e rimane indietro rispetto a quello a Terra. Da qui si passa al paradosso dei gemelli: quello del viaggio spaziale quando tornerà a Terra troverà il fratello gemello assai più vecchio di lui.

Questa teoria della dilatazione del Tempo ha prodotto, a sua volta, la “Teoria dell’elasticità del Tempo“. Nell’ottica suddetta, se si potesse viaggiare alla velocità della luce si potrebbe quindi ridurre enormemente il Tempo spaziale rispetto al Tempo astronomico terrestre. E questo aumento della dilatazione è continuo e progressivo man mano che ci si avvicina alla velocità della luce. L’effetto pratico, immediato, è quello che “le distanze si accorciano“. Studi sull’argomento hanno dimostrato che ad una velocità pari al 99% della velocità della luce, la distanza di 4,5 anni luce verrebbe coperta in solo mezzo anno luce! Ovvero, un equipaggio terrestre, se potesse resistere agli sconvolgimento fisici e mentali di quel viaggio, impiegherebbe solo qualche mese per raggiungere la stella posta alla distanza di 4,5 anni luce. Ma questo ragionamento è argomento di un apposito articolo nel quale vi spiegherò cosa significhi “viaggiare ad una velocità prossima a quella della luce” poiché fantasticare va anche bene, ma lo si deve fare con i piedi ben a terra!

SIAMO SOLI NELL’UNIVERSO?

Se consideriamo ora sia il fatto che il nostro Sistema Solare, avendo un’età di circa 5 miliardi di anni, è da considerarsi “giovanissimo”, sia che nella sola nostra Galassia esso si trova circondato da milioni di stelle che hanno un’età doppia, ne possiamo dedurre che “è possibile” che noi siamo la civiltà più giovane, o una delle più giovani in mezzo a tante altre più vecchia della nostra e, perciò, assai più evolute di noi. Ma la stragrande maggioranza degli astronomi è però scettica riguardo la possibilità che possano esistere altre civiltà ed ha la presunzione che l’uomo sia solo nell’Universo. Essi, anche guardando al passato dell’uomo, affermano di non aver trovato antichi artefatti di alcun tipo che si possano riferire ad una possibile colonizzazione da parte di un’ipotetica civiltà extraterrestre. E, non trovando nemmeno tracce chimiche o fisiche evidenti, concludono altezzosamente che mancano le prove concrete per dire che non siamo soli.

LA PALEOASTRONAUTICA

Lo studio della Clipeologia ha dimostrato l’esistenza di tanti riferimenti inspiegabili, sotto forma materiale, grafica e pittorica, che rimandano inequivocabilmente a qualcosa e a qualcuno che proveniva da un lontano altrove. Vi sono stati fior fiore di testimoni antichi e antichissimi che ci hanno lasciato testimonianze scritte di quanto hanno visto nei cieli del loro tempo. Essi ci hanno lasciato sia la descrizione scritta di fenomeni celesti ora facilmente spiegabili (bolidi infuocati, roteanti o esplodenti) che di altri assimilabili a veri e propri dischi volanti, avvistati sia da soli che in coppia o in formazioni gigantesche.
La clipeologia rientra nella più vasta materia detta “Archeologia spaziale” o “Paleoastronautica“, un termine inventato dallo svizzero Erich von Däniken convinto che la colonizzazione della Terra sia stata dovuta all’azione di creature extraterrestri, successivamente divinizzate dalle religioni. Questa materia va quindi alla ricerca di prove: mitologiche (contenute negli antichi testi), antropologiche (riferite ad esseri mitologici), iconografiche (collegate ad immagini dipinte o scolpite), archeologiche (legate ai monumenti ciclopici), astronomiche (legate alle antiche conoscenze che gli antichi avevano del cielo) e tecnologiche (connesse ad antiche conoscenze impossibili per quei tempi).

IL RUOLO DELLA NATURA

Gli scienziati sono irremovibili dalle loro convinzioni e citano spesso la storia dei dinosauri per dimostrare le difficoltà che ha incontrato la Natura nel suo disperato tentativo di sviluppare la vita intelligente. In sostanza, essi fanno il seguente ragionamento: si sa che la vita unicellulare esiste sulla terra da tre miliardi di anni e si è sviluppata in quella pluricellulare solo negli ultimi 700 milioni di anni, mentre 150 milioni di anni (tutte cifre inimmaginabili se rapportate ad una persona) non sono bastati ai dinosauri per evolversi nella forma intelligente. Naturalmente io vedo una lettura assai diversa di questa storiella: la Natura ha semplicemente fatto ciò che doveva fare e per riuscire a selezionare una specie vivente intelligente ha creato le condizioni per l’estinzione di questa forma di vita animalesca e violenta.

UNICITÀ DELLA CIVILTÀ TERRESTRE?

Ma la scienza, ancora una volta, va a pescare nel regno delle inamovibili certezze e sostiene con fermezza l’unicità della vita terrestre in quanto essa ha richiesto che tanti aspetti collimassero fra loro nei giusti rapporti: una serie ben precisa di elementi chimici, un sistema solare idoneo, una corretta rotazione dell’asse terrestre, una dimensione del pianeta ben bilanciata, la presenza di acqua in superficie, la distanza corretta dal Sole e, soprattutto, dalle sue pericolosissime radiazioni e, infine, la temperatura del pianeta, compresa fra 0° e 100° e tale da consentire un corretto sviluppo di tutta la chimica basata sul carbonio. Non è certamente semplice dare una risposta esaustiva a queste considerazioni scientifiche, ma mi preme fare alcune riflessioni sui meteoriti.

NEI METEORITI C’È UNA RISPOSTA ASSAI INTERESSANTE

A gennaio del 2000 giunse sulla Terra un autentico “tesoro di conoscenze”: il meteorite che cadde nel lago ghiacciato di Tagish (Canada). Esso era fragilissimo e al momento dell’impatto si frantumò in decine di frammenti, ma venne immediatamente raccolto e così si ebbe la certezza che tutto quanto contenuto al suo interno non era stato soggetto a contaminazione alcuna.

Gli scienziati della NASA lo studiarono per sei anni ed i risultati di questi studi, pubblicati sulla rivista SCIENCE, furono davvero interessanti. Innanzitutto, si rinvennero piccole sfere di materiale organico, composto da azoto, idrogeno e carbonio. Tali molecole presentavano poi al loro interno una concentrazione assai complessa di molecole organiche, di un diametro inferiore ad un 250 millesimo di millimetro che, in certe condizioni, potrebbero innescare una forma vivente come quella che esiste sulla Terra. Scoprirono poi che il meteorite si era formato ai confini estremi del nostro Sistema Solare, ad una temperatura di circa 260° sotto zero, in un tempo in cui il nostro Sole non era ancora nato. Ovvero, queste microscopiche sferule organiche si dovrebbero essere formate nella fredda nube di polveri e di gas primordiali e quindi, almeno in teoria, si portavano appresso ciò che era presente nell’attimo della Creazione.

Quanti ne saranno caduti sulla Terra dal momento della sua formazione? Quanti meteoriti avranno viaggiato fra gl’infiniti spazi interstellari, seminando ovunque la vita? Fate un po’ voi! La scienziata della NASA che ha studiato il fenomeno, Keiko Nakamura, ha dichiarato: «Forse siamo più vicini a comprendere da dove sono arrivati i nostri predecessori“. Non male, eh!

I meteoriti sono dei misteriosi e meravigliosi corpi celesti dall’età incredibile, che va dai due miliardi e mezzo ai quattro miliardi e mezzo di anni. Poiché essi hanno viaggiato nello spazio cosmico come all’interno di un congelatore, hanno potuto conservare in forma pressoché inalterata tutta la sostanza originaria dell’Universo. Al loro interno sono stati rinvenuti, oltre ai composti organici suddetti, tra l’altro del tutto uguali a quelli rinvenuti negli spazi interstellari, anche gli amminoacidi che sono i veri e propri mattoni dei sistemi viventi.

Se dunque questa è la realtà scientifica innegabile, non è eresia il credere che la cosa più diffusa nel Cosmo sia la chimica organica. Una chimica di cui nessuno è in grado di dire da quale punto del Cosmo essa abbia tratto origine e né in quale istante del Tempo essa abbia avuto inizio. La sola certezza è che essa esiste, perché in uno spazio ed in un tempo “X” si è generato un “processo naturale” che ha determinato la nascita delle molecole che stanno alla base della vita. E gli elementi che la compongono sono presenti ovunque in questo nostro meraviglioso Universo, nel quale fluttuano una infinità di Soli, regolati da meccaniche celesti precisissime e attorno ai quali le nostre migliori strumentazioni scientifiche stanno scoprendo pianeti a non finire. Se questa è dunque la realtà che va profilandosi sul nostro futuro, non ho più dubbio alcuno: là fuori, la cosa più normale che possa esiste è certamente la vita.

centro-ufologico-ferrarese-cuf-artioli-fiorenzoDesiderate frequentare il nostro centro ufologico? Siamo a Vigarano Pieve, in via Mantova 117, nella palazzina che ospita la Delegazione Comunale del Comune Vigarano Mainarda, luogo dell’avvistamento della gigantesca astronave aliena, osservata contemporaneamente da quattro persone adulte la sera del 27 settembre 1986. La nostra sede è aperta tutti i giorni, ma la serata ufficiale è il giovedì, dalle 21:30 alle 23.00 circa. Avvisate della vostra visita con un semplice SMS. A voi non costa nulla, ma a noi offre la possibilità di organizzare meglio il vostro ricevimento.

Vi piacerebbe iscriverti al nostro centro ufologico e provare a fare ufologia? L’iscrizione è gratuita e valida per sempre. Per informazioni di ogni tipo o segnalazioni di presunta natura ufologica, potete telefonare in ogni momento al 333.595.484.6 e vi risponderò io, Fiorenzo Artioli, fondatore e coordinatore del Centro ufologico ferrarese, nonché redattore del presente articolo, liberamente utilizzabile nel Web a patto di ricordarsi di citarne la fonte, così da dare a Cesare ciò che gli appartiene di diritto, ovvero le idee che sono state qui espresse.