Roswell 1947: costituzione fisico-chimica delle E.B.E.

ebe-entità-biologiche-extraterrestri-roswell-1947Le prime ore del giorno del 5 luglio 1947 furono quelle che il Destino volle dedicare all’umanità per farci conoscere le caratteristiche chimico-fisiche dei nostri fratelli superiori del cosmo, cioè quelle E.B.E. o Entità Biologiche Extraterrestri che si schiantarono attorno alla mezzanotte del 4 luglio nei pressi di Corona, una piccolissima località a nord-ovest della cittadina di Roswell, nel New Mexico. La navetta trasportante gli alieni venne monitorata in diretta, durante tutti i suoi spostamenti, da Steve Arnold, che era l’operatore addetto al controllo del radar presso il Roswell Army Air Field.

I suoi occhi rimasero esterrefatti nel notare che quella luce sembrò comportarsi in una maniera decisamente anomala rispetto alle precedenti modalità di passaggio: dopo essere entrata ed uscita più volte dallo schermo del suo radar, entrò quell’ultima volta dal quadrante inferiore sinistro, trasmettendogli dapprima l’impressione di svanire, poi di esplodere in un bagliore bianco e fluorescente, infine di svanita del tutto in una zona a nord-ovest di Roswell. Ecco le sue parole ufficiali, sulla base della testimonianza scritta che ebbe a rilasciare nel corso dell’inchiesta condotta dall’esercito americano: “… the radar blip exploded in a brilliant white florescence and evaporated right before his very eyes …”.

GLI ALTRI TESTIMONI

Oltre a lui, alcuni residenti del luogo, alcuni archeologi e alcuni allevatori testimoniarono di aver visto, nonostante la notte temporalesca, una luce luminosissima, quasi abbagliante, cadere in direzione di Corona. E appena dopo la mezzanotte, lo sceriffo George Wilcox, in servizio presso la Contea di Chavez, ricevette le prime telefonate riguardanti un qualcosa caduto dal cielo, per cui provvide subito ad allertare i vigili del fuoco. E proprio i campeggiatori impegnati nella ricerca di reperti archeologici dei nativi indiani, rimasero assai colpiti da quella luce che era caduta al suolo, accompagnata da un lungo sibilo e da un pauroso boato finale. Furono loro stessi a giungere per primi sul luogo dell’impatto e, non appena intercettata la posizione, avvisarono lo sceriffo suddetto via radio: l’UFO crash era accaduto a circa 55 chilometri da Roswell, in direzione Nord-Est, verso Corona. Tutti correvano in una sola direzione quella notte, ma nessuno sapeva degli altri: i campeggiatori-archeologi erano già sul luogo, William “Mach” Brazel giunse di lì a poco, tra l’01:45 e le 02:00, col figlio Vernon, poi arrivarono subito dopo, insieme, il Maggiore Jesse Marcel, il capitano Sheridan Cavitt e l’operatore radar Steve Arnold; quindi, dopo le 04:00 giunsero cinque squadre militari: gli addetti al controllo della radioattività, gli addetti al recupero fisico di tutto, gli addetti al presidio ed alla messa in sicurezza dell’area e gli addetti alla bonifica del terreno, in quanto tutto doveva scomparire molto in fretta e gli addetti al pronto soccorso. Infine, alle prime luci dell’alba, giunsero lo sceriffo Wilcox ed i pompieri del luogo.

L’UFO

Tutto era strano laggiù: il deserto, il temporale appena terminato, la notte stellata, l’immenso cielo notturno e quello strano oggetto volante caduto dal cielo, in un estremo tentativo di atterraggio di fortuna. I primi testimoni videro l’UFO inclinato di 45 gradi, con la coda per aria e ad ali verticali divergenti, incastrato col muso in una cresta sporgente di un leggero declivio collinare. Aveva una forma insolita per i velivoli di quei tempi, simile ad una goccia rovesciata, col guscio a deltoide ed ogni prominenza arrotondata. Tutti furono concordi nell’affermare che dalla superficie esterna si sprigionava ancora un intenso calore nonostante il tempo trascorso. Chi ebbe modo di osservarlo primariamente da dietro, lo scafo dava l’impressione di essere ancora integro ma, in realtà, presentava un lungo squarcio lineare su una parte della fiancata.

I PRIMI CINQUE ALIENI

Tutti si avvicinarono con circospezione e notarono che sulla sabbia del deserto, in prossimità dello squarcio dell’UFO, giacevano due sagome scure di individui alti da un metro e venti ed un metro e quaranta. Nelle vicinanze, ma leggermente distaccato dai primi due, ve n’era un terzo che diede a tutti l’impressione di essere deceduto. E, ancora un po’ più distante, ne individuarono un quarto quasi appoggiato ad una protuberanza del terreno, ma comunque anch’esso morto, come il quinto che venne inquadrato dai riflettori posizionati dai militari, prono proprio sotto il lungo squarcio dell’UFO.

IL SESTO ALIENO

Mentre tutti osservavano in un silenzio surreale, un urlò squarciò la notte, avvisando che ce n’era ancora uno vivo: era il sesto alieno. Tutti si accavallarono in men che non si dica attorno a quella piccola creatura ormai morente: emise un disperato gemito con tutta la forza che aveva in gola, ma non furono le orecchie ad udire quel grido di morte, bensì il cervello delle persone. Aveva qualcosa di simile alle convulsioni e trasmetteva come l’impressione di cercare ovunque l’ossigeno vitale. Nessuno più parlava. Nessuno più respirava. Tutti erano partecipi dell’immensa sofferenza che quell’essere, che non aveva alcunché di umano, stava provando. Quando lo trasportarono via era ancora vivo!

IL SETTIMO ALIENO

E mentre tutti lo osservavano impotenti ed impietriti, un nuovo urlo ruppe il silenzio del deserto: ce n’era addirittura un settimo che stava tentando di darsi alla fuga: si era miracolosamente salvato dal terribile impatto col terreno. Venne inseguito da diversi militari e tutta la zona fu illuminata a giorno. La tensione era alle stelle ed ogni militare di guardia era ovviamente armato. Così, alcuni secondi dopo quell’urlo, rieccheggiò un rumore di morte proveniente da qualche fucile. L’alieno ferito tentò invano di correre in avanti, arrampicandosi ovunque, ma il suo tempo era già finito.

L’AUTOPSIA DEL SESTO ALIENO

Tutti i corpi degli alieni, dopo essere stati avvolti negli appositi sacchi, furono prima posizionati all’interno di casse di legno, quindi caricati su di un camion militare e poi trasportati momentaneamente alla Roswell Army Air Field. Da lì, dopo una brevissima sosta, furono trasferiti presso il centro di ricerche e sviluppo dell’Aeronautica Militare a Wright Field, nei pressi di Riverside, nell’Ohio, mentre uno solo proseguì il viaggio fino Reparto Patologico dell’Ospedale militare di Walter Reed, nello stato di Washington, distante da Roswell oltre quattromila chilometri: il suo destino fu quello di subire l’autopsia. Era il sesto alieno rinvenuto, quello che aveva urlato nella notte del ritrovamento.

Il suo corpo subì prima un esame sistematico che potremmo definire col linguaggio moderno “riscontro diagnostico generale“, quindi l’autopsia vera e propria per stabilire la causa, i mezzi, l’epoca e la modalità della morte. Risulta importante riflettere sul fatto che l’autopsia è un accertamento tecnico non ripetibile, alla fine del quale si redige un “verbale di autopsia” in cui vengono descritti tutti i principali dati anatomo-patologici raccolti nell’esame delle parti esterne ed interne, vengono esposti dettagliatamente i reperti notati, viene formulata la diagnosi anatomo-patologica delle alterazioni riscontrate, viene precisata e motivata la diagnosi medico-legale sulla causa, i mezzi, le modalità e l’epoca della morte.

LA TESTA DELL’ALIENO

La sua testa, come quella di tutti i suoi sfortunati compagni, era enorme e sproporzionata e concentrava il viso in una piccolissima area. Gli occhi erano aperti, scuri, distanziati ed leggermente inclinati esternamente verso il basso. Il naso e le orecchie e la bocca erano simili a piccolissime fessurazioni.

LA BOCCA DELL’ALIENO

L’apertura boccale è l’orifizio attraverso il quale noi umani ci alimentiamo. Essa rappresenta la prima parte, in assoluto, dell’apparato digerente ed è definita dalle labbra, dalle guance, dalla faringe, dal palato e dalla mandibola. Nell’alieno dell’autopsia non v’era nulla di tutto ciò. Non avendo un apparato digerente, egli non aveva nemmeno l’intestino, per cui la bocca, rappresentata da un piccolissimo orifizio, gli serviva solo ed esclusivamente per introdurre aria nei capientissimi polmoni.

IL CERVELLO DELL’ALIENO

Con il termine “cervello” noi umani intendiamo l”intero contenuto della cavità cranica, chiamata “encefalo”, della quale il cervello rappresenta la parte più voluminosa, comprendendo anche il cervelletto ed il tronco encefalico. Esso rappresenta l’organo più importante del sistema nervoso centrale e, dopo la corteccia, che è la parte predominante ed è deputata alle funzioni cerebrali superiori (pensiero e coscienza), comprende quattro importanti lobi celebrali: frontale, parietale, occipitale e temporale.

Il cervello dell’alieno risultò del tutto simile, nella sua struttura generale, a quello umano, nonostante le enormi proporzioni rispetto a quel corpo così piccolo ed esile. Evidentemente proporzionato all’enorme testa, risultò suddiviso in almeno quattro sezioni soffici e spugnose, fra di loro nettamente distinte grazie ad un tessuto che assomigliava vagamente alla catilagine che divide le due narici umane.

LA PELLE DELL’ALIENO

Il colore della sua epidermide era tendente ad una tonalità compresa fra il grigio ed il marron, ed era del tutto priva di peluria. Il corpo dell’alieno risultò interamente ricoperto da un rivestimento unico, privo di cerniere, di bottoni o di cuciture, per cui era rapportabile, dal punto di vista dei viventi su questa Terra, sia alla pelle umana che alla corteccia di una pianta. L’indagine autoptica rivelò una forte somiglianza con noi umani in quanto la pelle dell’alieno presentava un sorta di rivestimento interno, adiposo, sottile ed impermeabile.

L’epidermide umano è lo strato epiteliale della pelle, non è vascolarizzato ed il suo nutrimento dipende dalla diffusione di metaboliti ed ossigeno dallo strato più superficiale del derma, l’ultimo e più profondo strato della pelle, costituito da tessuto connettivo vascolarizzato dove i metaboliti e l’ossigeno si diffondono per arrivare dal sangue all’epidermide.

Una cosa del tutto simile era presenta nell’alieno dell’autopsia, ma quella particolare epidermide fece supporre a molti ufologi che avesse qualcosa in più di quello umano poiché, rivestendo in maniera aderentissima l’alieno, induceva inevitabilmente a pensare ad una specie di tuta, sulla quale c’erano probabilmente terminazioni nervose che interagivano col sistema elettrico generale della navetta e gli consentivano di trasmettere i comandi per la sua guida solo attraverso la forza della volontà, proprio come facciamo noi umani allorquando il nostro cervello induce un muscolo ad un determinato movimento.

IL CORPO DELL’ALIENO

Era alto 120 cm e del tutto simile a noi terrestri, in quanto presentava una forma antropomorfa, ma i tratti caratteristici del viso, del corpo, degli organi esterni ed interni lo rendevano completamente diverso da noi umani. L’autopsia rivelò che l’alieno era dotato di un cuore enorme, di polmoni spropositati rispetto al resto del corpo, di un sistema circolatorio nel quale circolava un liquido biancastro e abbastanza fluido, nemmeno paragonabile al sangue umano.

Purtroppo, il tempo impiegato per compiere un viaggio ininterrotto di circa quattromila chilometri, prima di eseguire l’autopsia, determinò un avanzato stato di decomposizione dei polmoni e del cuore in particolare, nonostante che quel corpo fosse stato immerso nella famosa sostanza gelatinosa deputata, a quel tempo, alla conservazione.

LO SCHELETRO DELL’ALIENO

L’autopsia eseguita al Walter Reed General Hospital, ovviamente con le attrezzature e la tecnologia di quegli anni, consentì ai patologi di notare che l’apparente tessuto osseo dell’alieno era assai più sottile di quello umano ed era costituito da una sostanza pressoché fibrosa, flessibile ed elastica. Con ogni probabilità, la  conclusione a cui molti di loro giunsero fu quella di ritenere tale sistema scheletrico pressoché “perfetto” per compiere lunghi viaggi nello spazio in quanto, date le caratteristiche specifiche, era in grado non solo di attutire al massimo i contraccolpi, ma anche di poter egregiamente affrontare le sollecitazioni della navetta spaziale.

IPOTESI FINALE

Ovvio, che una supposizione del genere porta inevitabilmente ad un’altra ben superiore: l’UFO caduta a Roswell era probabilmente una navetta biologica e gli alieni ne erano parte integrante. In pratica, gli stati di moto venivano consentiti dalla produzione di energia di un generatore di campi elettromagnetici mentre il sistema elettrico generale era governato direttamente dalle onde cerebrali prodotte dagli alieni, che venivano poi trasmesse attraverso l’epidermide. Quindi, è probabile che gli alieni di Roswell si nutrissero solo di energia pura e fossero il sistema di controllo diretto dell’UFO in quanto erano parte integrante della navetta stessa, che veniva spostata solo grazie alle onde cerebrali.

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