ET ed i neutrini

neutrini-messaggioi-per-etFino ad ora, per quanto ne sappiamo, tutti i progetti SETI sono stati un fallimento totale: nessun messaggio alieno ricevuto. O meglio, di tutti gli eventuali messaggi ricercati con le varie tecniche usate, nessuno ha dato risultati concreti. Non può, dunque, darsi che sia errata la tecnica di ricerca?
Può essere che ET abbia cercato mille volte di comunicare con noi ma non attraverso le onde radio, bensì utilizzando il mezzo più comune e potente che esista nell’universo: il neutrino.
Gli scienziati si stanno dunque chiedendo se valga ancora la pena di continuare a sondare il cosmo con strumenti investigativi basati sulle onde radio e sui fotoni (particelle elementari che trasportano piccole quantità di energia associata alla radiazione elettromagnetica): occorre cambiare strategia, sondando la possibilità di comunicare con ET inviando messaggi tramite i neutrini. Il neutrino è, probabilmente, l’oggetto più piccolo col quale siamo venuti in contatto fino ad ora e nessuno è ancora riuscito a misurarne con certezza la massa. Questa particella elementare viene liberata nel Cosmo in seguito alle reazioni nucleari delle stelle (per noi, dal Sole), degli stessi pianeti o in appositi reattori nucleari artificiali.
Il neutrino può attraversare con estrema facilità, e alla velocità della luce, il corpo di una persona ma senza arrecargli danno alcuno: per questa particella ogni tipo di materia è praticamente trasparente ed il suo campo di azione rimane quello dei nuclei atomici. Pertanto, affinché si crei una reazione, occorre che il neutrino vada esattamente a colpire il centro di un atomo, ma l’evento è stato calcolato come “rarissimo”. Ora, presso la University of Hawaii, il professor John Learned sta cercando, coadiuvato da numerosi colleghi, di sfruttare i neutrini per tentare di comunicare con ET.
Quando anche ciò fosse possibile nei prossimi anni, si dovrà provvedere comunque ad affrontare un’altra impresa titanica: costruire appositi detector per neutrini, poiché i calcoli hanno dimostrato che queste particelle elementari sono in grado di attraversare in un battibaleno uno muro spesso alcuni anni-luce.
Per il momento la speranza è riposta nella nuova generazione di rilevatori, quali il telescopio IceCube, attualmente in fase di perfezionamento al Polo Sud. Questo strumento utilizza l’IceCube Neutrino Detector, ovvero un rilevatore di neutrini che viene costruito immergendo nel ghiaccio antartico, ad una profondità che varia tra i 1.450 m e i 2.450 m, dei rivelatori a geometria sferica nei quali sono alloggiati dei fotomoltiplicatori. Tali sensori sono disposti in pozzi verticali di sessanta moduli ognuno. I pozzi vengono costruiti usando un “trapano” a forma di cono che spruzza acqua calda. I neutrini non sono rilevabili direttamente e l’eventuale collisione fra un neutrino ed un atomo di ghiaccio produce dei sottoprodotti che a loro volta vengono rivelati direttamente dai rivelatori dell’IceCube. Le stime attuali prevedono l’individuazione di circa un migliaio di eventi di questo tipo al giorno in tutto il sito del rivelatore.